Cercando nel labirinto degli specchi

Sunday, 3 February 2013

L'appeso


Scopiamo regolarmente. Ogni due giorni, alle 5. 
Presumo siano le cinque, qui non c'è un orologio. Né luce elettrica. 
Né solare.
Lei dice che sono le cinque. Ogni volta.
Bussa - tre tocchi, secchi e senza sentimentalismi, come inchiodare le viti a una bara. Io dico Prego, e lei si accomoda. Buon té delle cinque, milord, dice. Poi si spoglia - sento il frusciare dei suoi abiti, le crinoline che si ammucchiano sul pavimento come meduse sgonfie, e il profumo della sua biancheria che si allenta, fino a svanire, ormai troppo lontano da me. Mi si siede in grembo, facendo attenzione a non schiacciarmi - ha delle belle gambe, tornite, da pin up, in curioso (e tragico, sicuramente, per lei) contrasto con le misure da bambina dei suoi seni - e mi bacia. Mai sulle labbra.
A volte sul collo, come se sfiorasse la pelle di pesca di una ragazza, a volte sulla fronte, come una madre che presto finirà degenere, a volte sul petto - il più delle volte. Sembra avere una venerazione, per la gabbia vuota dove un tempo la mia anima pigolava senza aspettarsi un domani. 
A volte invece arriva già troppo eccitata, e aggrovigliandosi tra le corde che mi tengono suo prigioniero mi strappa di dosso la veste, e si lascia prendere. 
La sento gemere piano, come se si vergognasse troppo per godere apertamente - ma so che per me muore, continuamente, scossa dalla scarica di un peccato a cui non osa neppure pensare, neanche mentre lo commette. 
Scopiamo e basta. Non parliamo, non ci guardiamo. Non ci amiamo.
Non conosco di lei nemmeno il suono della voce, se non dai piccoli, soffocati squittii che emette sopra di me.
Io chiudo gli occhi, per riposarli da tutta l'oscurità che per me è ormai la regola, e lascio che il suo corpo lasci sfogare il mio, per qualche tempo. 
Fa tutto lei. 
Io improvviso, ogni tanto, ma per la maggior parte delle volte la cosa segue il suo flusso naturale, senza baci, coccole, carezze, gioia. Qualche colpo, in velocità crescente, un graffio o due - per farla contenta, e poi la grande esplosione. Il fall-out ci lascia vuoti e sudati a guardare il buio del soffitto, o del cielo, o di qualunque altra cosa ci sia sopra di noi - io non lo so. Poi lei mi riveste, si riveste, lascia qualche dono per passare il tempo sul mio cuscino, vicino alla mia bocca, dov'è sicura che riuscirò ad arrivare senza dovermi scorticare i polsi, e dopo un riverente inchino se va. Posso sentirla ancora ansimante, mentre si allontana nel corridoio di pietra fredda. 
La porta sbatte, e ho altri due nuovi giorni per me, fino al prossimo amplesso. 
Puro sesso, tutto qui. A volte è possibile.
Non so neppure quanti anni abbia - penso sia giovane, o almeno lo spero. Anche se in realtà per me non ha mai fatto alcuna differenza.
Vecchi, belli o giovani che siano, gli esseri umani sono comunque tutti uguali. Morti.
Una volta, quando una delle guardie si era macchiato d'imperdonabile negligenza, e la luce rossastra della torcia che egli aveva dimenticato di spegnere nel corridoio era riuscita a strisciare tra il pavimento e la porta della mia cella, ho visto il suo viso. Aveva un cuore tracciato su metà del volto - partiva dalla guancia, e le circondava l'occhio destro, senza accecarlo. Non so se fosse stato disegnato con l'inchiostro o col coltello, tuttavia... non mi ha fatto alcuna impressione.
Non ricordo più di che colore essa abbia gli occhi. So che li usa per fissare a lungo, nella pece nera uniforme che ci ricopre in quei lunghi istanti, le corde che mi tengono legato al letto e, in qualche altro modo, a lei.


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