Cercando nel labirinto degli specchi

Thursday 23 November 2017

L'autotortura come evasione da sé

Dobbiamo considerare ora un metodo strettamente fisiologico di evasione dall'io isolato. Il mezzo della punizione fisica. La violenza distruttiva, sintomo finale dell'"ebbrezza di massa"non è invariabilmente diretto all'esterno. La storia della religione è ricca di racconti spaventosi di autoflagellazioni, automutilazioni, autocastrazioni, anche autouccisioni collettive. Queste azioni sono conseguenza del "delirio di massa" e vengono compiute in uno stato di frenesia. Molto diversa è la punizione corporale intrapresa privatamente e a sangue freddo. Qui l'autotortura è iniziata da un atto della volontà personale; ma risulta (in alcuni casi perlomeno) in una temporanea trasformazione della personalità isolata in qualcosa di diverso. In se stesso questo qualcosa di diverso è la coscienza, così intensa da essere esclusiva, del dolore fisico. La persona che si tortura si identifica col dolore e, diventando meramente la consapevolezza del suo corpo dolorante, viene liberata da quel senso di colpevolezza passata e di frustrazione attuale, da quell'ansietà ossessionante circa il futuro, che costituisce tanta parte dell'io nevrotico. Vi è stata un'evasione dall'io, un passaggio discendente in uno stato di puro tormento fisiologico. Ma l'autotormentatore non ha bisogno necessariamente di rimanere in questa regione di coscienza interpersonale. Come colui che fa uso di "vana ripetizione" per andare oltre se stesso, egli può essere capace di usare questa temporanea alienazione dall'io come ponte, per così dire, verso l'alto nella vita dello spirito. 

A. Huxley 
I diavoli di Loudun

Mondadori, Milano 1980, p. 315

Tuesday 7 November 2017