Cercando nel labirinto degli specchi

Wednesday 31 October 2012

Poison Three

Quando riprese coscienza - ma fu solo per un attimo -, Berlin si trovò in un cumulo di neve.
I cristalli ruvidi e gelati le stavano urticando il viso e le mani, ogni traccia di pelle scoperta, ma quel gelo in fondo le faceva bene.
Stava bruciando dentro. E per una volta, non metaforicamente.
Riversa a faccia in giù sul marciapiede imbiancato, doveva avere qualcosa conficcato nel petto - degli spilli forse, lunghi e stretti, come spine. Le sentiva infilate a fondo nella sua pelle, ma aveva paura di muoversi, e muoverle - ma per fortura era troppo debole per rischiare di farlo.  
Avrebbe potuto rantolare, cercare di guardarsi attorno, chiedere aiuto...
Ma sapeva che sarebbe stato inutile.
Il suo cellulare - doveva esserle caduto dalla tasca quando l'avevano scaraventata là per terra - era a portata di mano, sprofondato nella neve, davanti a lei. Berlin non lo cercò neanche.
Rimase lì, come senza vita, ad aspettare.
Aspettare che i primi avvoltoi arrivassero, e l'alleggerissero del suo corpo. Con qualche organo in meno, almeno, la sua carcassa sarebbe sembrava più magra, nella bara.
Berlin non aveva speranze.
Sapeva che chiamare i soccorsi... non aveva senso. Chiamare le amiche... Non sarebbero venute. Chiamare altri... non c'erano altri da chiamare.
Chi l'aveva lasciata lì a morire, per il veleno o per il freddo... non era stato certo il primo, ad abbandonarla.
Ma Berlin non voleva morire tra le proprie lagne, e quindi chiuse gli occhi, e aspettò.
Dicevano che dopo il freddo sarebbe venuto il dolce sonno... Aspettava.
Voleva un bel sogno, con cui essere accolta dalla morte.
Non era pronta - non avrebbe voluto sparire. Al punto in cui era, però, ciò che lei voleva non faceva più alcuna differenza.
Le sue labbra, insanguinate dalle botte e dal freddo, si schiusero piano, in un sorriso senza dolore.
Presto avrebbe smesso... di desiderare di averlo. 

Ti amo? bisbigliò, e un po' di neve, sporca di smog, le crollò in faccia, a tapparle la bocca.
S... sì... continuò, girando stanca la testa.
Così il suo viso fu sepolto del tutto.
E lei rise, rise finché la neve glielo permise...
Poi fu troppo tardi, e fu strappata via da quel tiepido inferno.

Tuesday 30 October 2012

Excrucior

Promemoria per un tableau:

Ragazza... innocente... crocifissa... una cancellata... di ferro battuto, nero, lucido... il suo pallore risalta, e così anche... il bianco delle rose... rose dai petali striati di rosso cupo... come le lacrime che la ragazza dovrà piangere. Le rose sono conficcate nei suoi palmi, affondano... nelle mani e la inchiodano alle sbarre... che sono lavorate in modo da disegnare i bracci... di una croce, naturalmente, latina. Con un tocco celtico. Sì, perfetto... i suoi boccoli le piovono sul viso... sulle spalle... sul seno... coperto da bende bianche... bianche crema, così... risaltano anche loro... bende anche sui fianchi, non vogliamo... essere impudichi... vergine crocifissa in una campana di vetro... una rosa bianca le inchioda... anche i piedi, congiunti... uno davanti all'altro, uno sopra l'altro... boccoli scuri, castani... scuri, abbastanza lunghi... devono... sfiorare il seno... e poi lei... è bendata, come i condannati... alla fucilazione... così la paura è più grande... ma lei non è condannata... piange... per chi lo è.... ma grazie a lei... non più... lo sarà. Piccolina... poco più... di vent'anni... Petite, en français... è innocente, ha gli occhi... umidi, sempre lucidi... di pianto... grigi... ma... vede in bianco e nero, ecco perché... lei mi ama... e io... lei... non lo sa... Così pallida che potresti vedere il suo cuore battere... se non fosse che... io il cuore gliel'ho strappato.... i petali ai piedi della croce, del cancello... sulla neve... lei non sente... il freddo, vede... solo i cristalli... che scendono... come schegge di vetro... che non la feriscono... perché la sua ferita è... dentro... non la feriscono perché... io, la ferisco... la sua pelle... è perfetta... sulle bende che le coprono gli occhi, la stessa striatura dei petali... lo sfondo... è la città... la nostra assurda... città... quei palazzi, deserti... è un'alba bianca... di lunghe ombre... e la luce... è lei... In croce come i vecchi ladri... ha rubato qualcosa di mio, e non sa... le sue labbra... un sorriso... triste... ma è un sorriso... In croce come in sacrificio... si sacrifica per salvare me... è uno... scambio... Sotto una campana di vetro... perché non deve... entrare in contatto con gli altri... mai corrompersi. Lei... mai, no.

Il nastro, rovinato, andava avanti, continuava, la registrazione, tra i fruscii e le scosse, finiva e ricominciava. Quella visione sarebbe andata avanti in eterno.

Heart full of holes

La vidi appena entrai.
Il bar era strapieno, eppure lei spiccava comunque, nonostante il trench e i capelli legati in uno chignon basso, tipico look della brava ragazza che non vuole essere importunata.
Mi avvicinai titubante, senza sapere esattamente cosa stessi provando, e notai che mi notò quando il mio riflesso apparve sulla lucida superficie del suo bicchiere vuoto. Un bicchiere da Martini - era una di classe, lei.
Ciao! esclamò, voltandosi in fretta nella mia direzione, e rivolgendomi un timido sorriso, che voleva essere caloroso e accogliente, ma si rivelava soprattutto come imbarazzato.
Cazzo, pensai io. Yo, dissi invece, totalmente a random. Era bellissima.
Sul genere Claudia Schiffer - Quistis di Final Fantasy VIII, il tipo di bionda bellezza sofisticata che può incarnare perfettamente lo stereotipo della professoressa sexy (prof universitaria, naturalmente). Il genere di donna fatta per i tailleur e lo Chanel n.5... con in più in dotazione un grosso paio di tette, un fisico da sballo e degli occhi verdi che più verdi non si può. Una 10/10, poche storie.
La canzone che echeggiava flebilmente in sottofondo dal vecchio juke box scassato, Jolene, risultava ironicamente, tragicamente azzeccata.
10... mormorai, persa nella contemplazione di tanto splendore.
Ehm... cosa? chiese lei, aggrottando le sopracciglia sottili, che disegnavano perfettamente l'ala di una gabbiano.
Dieci, ripetei a voce più alta, nel casino di quel bar fumoso, bicchierini, aggiunsi, salvandomi in corner.
Sul bancone davanti a lei c'erano giusto giusto dieci bicchieri da shot, precisamente disposti uno accanto all'altro, a formare il corpo di un lungo bruco di vetro.
La guardai negli occhi, curiosa. Li ha svuotati tutti lei? mi chiesi, con ammirazione.
La donna che mi aveva fatto nera pochi giorni prima, per motivi sconosciuti, iniziava a starmi quasi simpatica.
Una fitta mi riportò alla realtà, ricordandomi che non saremmo mai state amiche, probabilmente. Lei mi aveva attaccato con cognizione di causa. Era una psicologa. Aveva decifrato la mia anima - non che ciò che l'aveva turbata fosse stato particolarmente difficile da leggere tra le righe dei miei contorti a parte, voglio dire, c'era arrivato pure il mio autonominatosi tutore, e senza che proferissi verbo. Sia a lui che a lei, la dottoressa picchiatrice, era bastato guardarmi negli occhi mentre uscivo da quella deliziosa stanza imbottita.
Oh, già, fece lei, arrossendo un po'. Mea culpa. A mia parziale giustificazione posso direi che erano ottimi, davvero ben preparati.
Dai cristalli di zucchero sparsi per il bancone davanti a lei, e soprattutto per il fondo verde che ancora s'intravedeva nei bicchierini, gli shot dovevano essere stati a base di assenzio. Assenzio puro, visto il locale - il barista, un orco sui sessant'anni grosso e peloso, non sembrava particolarmente incline a sbizzarrirsi in drink fantasiosi.
Alzò la borsa (non feci in tempo a osservarla per poter ipotizzarne la costosissima firma) per lasciarmi il posto sullo sgabello accanto al suo, e io accolsi il suggerimento. Così mi piazzai lì, nel covo nel nemico, accanto alla donna che aveva lasciato chiaramente intendere che sarebbe stata lieta di donarmi personalmente un'isterectomia gratuita senza anestesia, appena pochi giorni prima. Avevo ancora qualche livido sul costato - dove non avrei mai pensato che ci si potesse procurare lividi, ah, beata innocenza.
Bevi sempre così forte? chiesi, scherzando, o forse per una piccola vendetta.
Solo da quando ho scoperto la tua esistenza, rispose lei, evidentemente senza riflettere, in un sibilo velenoso.
Lei aveva in comune con lui molti più tratti di quanti ne avessi io, così pareva.
Desolante - anche se in fondo mi aspettavo di uscire sconfitta, dal confronto con una puledra purosangue come quella (devo smettere di frequentare i carcerati, pensai come promemoria).
Poi la dottoressa dall'angelica bellezza arrossì, di nuovo, e abbassò gli occhi. Scusa, sussurrò, e sembrava sinceramente dispiaciuta.
Non sapevo come rispondere, quindi lasciai correre, e mi preparai alla resa. La mia, resa.
Non ordinai nulla, sperando che le numerose consumazioni già pagate (speravo anche questo) dalla mia amica bastassero a giustificare anche il mio posto a sedere, per evitare di avere motivo di trattenermi più a lungo di quanto bastava per infliggermi il più grande autogol della vita, e scappare a casa a piangere fino ad addormentarmi.
Senti...
Non c'eravamo neanche presentate, ma presentivo fortemente che nessuna delle due ci tenesse particolarmente a farlo.
Presi un respiro profondo e sputai il rospo.
Il rospo che una minuscola... non così minuscola, dolente parte di me aveva sin da principio sperato che potesse diventare per lei principe.
Non hai motivo di farti... questo... di fare così per me. Cioè, per... lui. Hai capito no? Io non... sono solo una... cosa? cosa diavolo ero? ammiratrice... ecco. "wannabe-groupie", ammettiamolo. No, non era il momento di ammetterlo, né quel momento ci sarebbe mai stato... era il momento di sopprimere tutto, di ficcarlo in una tomba e dargli fuoco, fino a cancellarne ogni tracca. Forse i maiali...? Non abbiamo una storia. Non so cos'abbiate voi, ma io non sono nulla per lui, solo una curiosa.
Come chi si affolla sulla scena del crimine per vedere le sagome tracciate col gesso! commentò lei, genuinamente divertita da quella che da parte mia era stata un'amara presa di consapevolezza. Che, non so perché, mi aveva appena incrinato il cuore, riempiendolo di crepe.
O allo zoo... feci io, distratta dal dolore che sentivo in un qualche punto della cassa toracica.
, tagliai corto, ecco. Tutto qui. Comprendi? Io vado, buonase-
Lei mi afferrò per la manica, trattenendomi vicino a lei.
Sei davvero carina, disse guardandomi dritta negli occhi, ipnotica. Era cambiato qualcosa in lei.
E molto dolce.
Il suo tono si era fatto materno, intenerito, ma il suo sguardo aveva qualcosa...
Mi risedetti, perché, come nella nostra rissa passata, anche allora dalla sua stretta non riuscivo proprio a liberarmi. Era anche più forte di me, non solo più bella e più formosa. Lei aveva... tutto.
Stavo per ringraziarla, quando lei mi stampò un bacio sulla bocca.
Un lungo bacio appassionato, ma elegante, senza affondare di lingua o staccarmi il labbro a morsi. Indugiò per quelli che parvero minuti sulle mie labbra, in una calda, avvolgente pressione, sfiorandomi il petto, la mia seconda scarsa, col suo seno enorme. Sapeva di miele, o di vaniglia, o di entrambi, non riuscivo a capire - a volte sentivo una nota lieve d'anice, l'assenzio che doveva aver bevuto prima.
Si fermò un attimo, separandosi da me lentamente, appena, sporgendosi ancora in avanti, per sussurrarmi qualcosa all'orecchio - mentre tutti i miei sensi erano concentrati sul contatto del suo corpo contro il mio -, in una maniera provocante che nulla aveva a che fare con l'aria virginale e sofisticata sfoggiata prima.
Capisco perfettamente, che tu l'abbia colpito così... Sei un soggetto interessante, Berlin... Wayne.
Aggiunse il cognome che non era mio con disprezzo, una punta di derisione nel suo tono da Jessica Rabbit.
E mi baciò di nuovo, mordendomi, sul collo, mentre infilava la sua mano, quella che non mi stringeva una coscia, tra i bottoni della camicetta.
Non capii a cosa si riferisse, per quanto facile fosse. Non capivo nulla.
Non sentivo più il mondo attorno a noi, che era come se si fosse fermato attonito - e forse era davvero così, vista la predilezione dei camionisti della città per gli show lesbo. Quando le sue dita, avvolte da lunghi guanti viola, dello stesso suo viola, arrivarono sotto il mio reggiseno, quando il suo tocco si fece più forte... allora realizzai cosa mi stava succedendo.
Ah! riuscii solo a gridare, un grido leggero, smorzato dallo stordimento.
Qualche gocciolina minuscola mi schizzò sulla camicia, ma, nera com'era, nessuno se ne accorse.
...Davvero interessante... principessina. Per un secondo, la stanza, troppo calda, troppo fosca, troppo affollata, mi vorticò attorno.
Poi crollai, tra le braccia di colei che mi aveva trafitto il cuore.
Mi ero punta col fuso, maledizione.

Friday 26 October 2012

Smile and the world will smile with you

Come te le sei fatte? gli chiesi, guardando la pioggia cadere piano sul suo viso.
Nello stesso modo... in cui tu ti sei fatta le tue, rispose lui, guardando le lacrime cadere piano lungo il mio viso.
Un giorno mi sono osservato allo specchio... e mi sono visto... dentro... Mi sono visto allo specchio, e ciò che ho visto... non mi è piaciuto! ...Era uno specchio rotto... No, il vetro della finestra della mia cameretta... sì, la piccola finestra del sottoscala in cui ero... imprigionato... mi ci specchiavo spesso... mentre piangevo. Quel giorno nessuno mi aveva ferito, proprio nessuno, in nessun modo, a nessuna ora... ero confuso, mi chiedevo: perché? e non c'era un perché, e io continuavo a chiedermi perché, perché... ero da solo, lì dentro ero sempre solo - ma quel giorno ero solo in tutta la casa... il rumore della porta che aveva sbattuto... tanti tanti giorni prima... mi risuonava nella testa, insieme alla musica dei passi di chi se ne va e ti abbandona... all'inizio sanguinavo troppo, per muovermi, ma poi... dev'essere stata la mancanza di cibo... insomma, volevo del cibo... così ho pensato che mi sarei potuto mangiare. Qualcuno mi aveva... raccontato... di qualcun altro, che... si era... divorato... la lingua... e io avevo pensato: doveva avere proprio fame! e quel giorno anch'io... avevo fame... e così... mi sono alzato, e quando sono arrivato... davanti al vetro... mi sono visto com'ero... brutto com'ero... i miei a lasciarmi là ci avevano fatto un affare!... non credi? io credevo, sì... credevo così tanto, che... beh nessuno poteva amare, nessuno con tutto l'umano sforzo poteva amare... un bambino... così brutto, che non sorrideva... ma forse mi avevano fatto un regalo, sì, prima di scappare... ecco cosa pensavo, con quel vetro in mano... (il vetro... della finestra, il mio... specchio... no?)... mi avevano donato ciò che di più bello non si poteva donare... mi avevano stampato sul viso... un bel SORRISO!
E a quella parola il suo viso s'illuminò, come una zucca di Halloween al primo bagliore della sua anima di candela.
Una nuova generazione di lacrime mi si radunò agli occhi, pronta a buttarsi.
Loro l'avevano abbandonato. Ma prima di abbandonarlo l'avevano...
Ahah! Mamma, papà, grazie, avevate ragione! Adesso sorrido, adesso sorrido! Voi lo sapevate, vero? Allora tornerete, vero? Voi sapevate che così avrei finalmente sorriso! Però... finse di asciugarsi le lacrime, e poi si accorse che io stavo piangendo davvero. Mi guardò stupito, e io guardai lui in attesa, trattenendo i singhiozzi per un attimo. Però, sai, non sono tornati. bisbigliò, in confidenza, con la stupefatta innocenza di un bambino. Ma io sorridevo, sorridevo finalmente, e sorridevo lo stesso! continuò, riprendendo il ghigno allucinato come se nulla fosse. Chiuso a chiave in uno sgabuzzino di una casa deserta e dimenticata da... Dio... Sia lode a Dio, io sorridevo! mi guardavo allo specchio... al vetro, va bene... e sorridevo... ma poi mi accorsi che non era la mia BOCCA a sorridere! era solo una grandissima macchia! era rossa, e secca, e sapeva di ferro... come quando per farmi addormentare mi davano un pugno sul labbro! era... sangue... non era un sorriso! Non sarebbero tornati, no, perché quello NON ERA UN SORRISO! Ma quel falso sorriso continuava a ridere, nello specchio...
Rabbrividii, perché sapevo cosa stava per succedere. Nella narrazione, intendo. Ero completamente immersa in quella narrazione.
Quel sorriso dipinto, incrostato, ...rideva DI ME! perché... sapeva... ciò io nello specchio sapevo... che quel sorriso non era vero! perciò - non poteva bastare! Ma sapevo cosa fare... e così ridevo anch'io... ma ridevo anche nello specchio, e non potevo... continuare a fingere, in quello specchio! Così colpii...
Eccoci. La vista cominciò a offuscarmisi.
Colpii lo specchio, con un pugno - con la mano... destra... l'altra mi faceva ancora male... non avrebbe colpito... bene... ma non bastò, e lui cioè io nello specchio mi tagliò - tagliai... e allora continuai! Voleva battersi, e io mi sarei battuto! Ah, il mio vecchio... battersi era ciò che ci teneva di più a insegnarmi! Pensai alla mamma, che piangeva e si lamentava di me... dovevo... rimediare... dovevo farle vedere... che ero felice! grazie a lei, grazie al vecchio... dovevo sorridere, perché è così che fa chi è felice! Non è VERO?
Mi afferrò i polsi, mentre io mi sentivo vacillare sempre più forte... e continuavo a piangere... Scoprivo allora di saper fare due cose contemporaneamente.
Alla fine vinsi io... e prima che il mio stupido... inutile... sangue... che inutilmente si rovesciava in giro... macchiasse anche lo specchio - lo specchio, vetro, mi serviva! allora scelsi il frammento più grande, mi guardai bene in ciò che rimaneva degli altri...
Ebbi un conato? No, era un singhiozzo indiscreto, e privo di grazia.
E con quello più grande mi stampai un bel sorriso... sulla faccia.
Singhiozzai di nuovo, e caddi in avanti, sul suo petto. La pioggia e il suo cerone mi colavano addosso, dandomi un po' di sollievo.
Rimasi in attesa, pensando che avrebbe continuato, perlomeno con una conclusione ad effetto...
Lui rimase in silenzio. Sentivo il suo respiro, convulso per l'agitazione del racconto, sul viso.
Appena l'aria fresca della notte - o lo stare salda (salva...) tra le sue braccia - mi calmò, piegai la testa all'indietro, per vedere cosa succedeva nella sua (impresa notoriamente impossibile).
Stare sotto il diluvio così a lungo gli aveva lavato via quasi tutta la maschera. Restava ancora qualcosa attorno agli occhi, ma il resto... la bocca e le guance erano libere.
Sollevai piano una mano, e lentamente - perché potesse fermarmi quando voleva, speravo non violentemente - posai i polpastrelli sul punto più alto della cicatrice di destra, l'estremità più lontana dall'angolo della bocca insomma. Lui non reagì - non sapevo neppure quanto forte gli battesse il cuore... non sapevo neppure se ne avesse uno. Si limitò a guardarmi, con la sua solita luce insana negli occhi, forse un pelo velata, rispetto a prima.
Percorsi colla punta delle dita la cicatrice, dall'alto verso il basso, fino a passare sulle sue labbra, e a risalire l'altra, in senso inverso.
Sono spettacolari, mormorai, in sincera ammirazione. Col cuore che scoppiava.
L'ultima lacrima che mi era rimasta aggrappata alle ciglia cedette, scorrendomi giù lungo la guancia, e lui la vide, e me la asciugò - il contatto del suo guanto in pelle mi fece rabbrividire di nuovo, ma stavolta non per l'impressione.
Quel silenzio... troppo silenzio.
Schiusi le labbra per dire io qualcosa, allora, ma non mi vennero le parole.
Ma adesso sorrido, perché così... il mondo mi sorriderà! concluse lui, allegro.

Wendy

Galleggiava, a occhi chiusi, sospesa in superficie, come una medusa nel suo abito bianco gonfiato dall'acqua calda.
La vasca era tutta per lei, deserta e calma, velata dal vapore che avvolgeva anche lei nel silenzio.
Berlin si godeva quella quiete, lontana dalla festa che aveva abbandonato - ormai non ricordava più da quanto.
Altrove, in uno dei piani di sotto, la solita serata di gala si consumava tra sorrisi falsi e champagne... ma lei era scampata all'agguato, e senza neppure dover aspettare mezzanotte.
Il suo calice, vuoto, era ancora lì, da qualche parte in quel paradiso di ovatta.
Era in quella sacra stanza da ore, e nessuno era venuto a cercarla...
Per fortuna.
Aprì gli occhi un secondo, giusto per controllare la porta - era ancora chiusa, per fortuna, serrata da dentro, per proteggerla. Le invasioni mondane la terrorizzavano.
Dai piani inferiori saliva remota una musica, qualcosa di classico, molto pacato e elegante... poteva immaginarsi gli invitati impegnati in una qualche anacronistica danza, mentre spettegolavano e trattenevano indietro la pancia. Berlin si sfiorò l'ombelico, sovrappensiero. Era così sollevata - non dover starsene in mezzo alla bolgia, a impedirsi di bere e torturarsi sentendosi inadeguata! Sperare che nessuno si avvicini... fare finta di non sospettare che le altre donne ridano di lei... nascondere i propri difetti, non pensare, fare finta di essere certa di essere la più bella presente... Quasi le veniva l'orticaria, al solo pensiero.
Fremette di piacere, sentendo di colpo le bolle dell'idromassaggio scoppiettarle lungo il collo - solitudine dorata...
Ehi, sirenetta.
Berlin a stento non schizzò fuori dalla vasca.
Si raddrizzò, passando dalla posizione della stella marina a quella del chiodo, e si guardò intorno col cuore sul punto di scoppiare.
Ehi! riuscì a rispondere infine, con un filo di voce tremante.
Il suo principe - quello che lei avrebbe voluto fosse il suo principe - stava appoggiato alla Nike di Samotracia, dall'altra parte della stanza, con la testa a colmare la decapitazione che il tempo aveva inflitto alla statua.
Stai bene, alato, aggiunse poi Berlin, riprendendo un po' di polso. Lui la guardava, con un sorriso beato, inclinando il capo come a contemplare un cucciolo carinissimo.
Grazie, tesoro, rispose dopo un po', scendendo dal piedistallo per avvicinarsi alla vasca, in tutto il suo sinistro splendore. Aveva un frac viola scuro, così scuro da sembrare nero, e, per la prima volta, un papillon, smeraldo, che anche sotto quelle luci soffuse dava risalto al suo colorito cereo. Potrei essere un angioletto, vero? ...No, finirei sicuramente per annoiarmi.
Si fermò a bordo vasca, senza sedersi o farle cenno di uscire. Restarono così a studiarsi, separati da qualche litro di acqua calda, dal profumo termale.
Fu Berlin allora ad avvicinarsi, fluttuando avanti nel suo vestito fradicio. Si appoggiò al bordo, posando il mento sulle braccia, incrociate strategicamente a coprire i punti in cui il tessuto si era fatto più decisamente trasparente. Odiava il suo corpo, e per quella sera almeno aveva sperato che nessuno lo vedesse.
Il nostro amico sa... che sei qui, dolcezza?
Berlin sorrise, sentendo il rossore incendiarle il viso. No... sono sfuggita alla festa, senza dirgli nulla.
Probabilmente, la risposta più sbagliata che si potesse dare a un tipo così pericoloso.
Lui schioccò la lingua, suotendo la testa. Tesoro, non è così che si fa! Non sai che l'etichetta prescrive di avvisare ugualmente il padrone di casa, anche nel caso non si intenda presenziare all'evento?
Sembrava soddisfatto. Berlin rise, contenta che lui la prendesse in giro così.
Chiedo scusa, hai ragione! Che enorme mancanza, da parte mia... manderò un biglietto di scuse, appena possibile, promesso.
Ben detto, cara, ben detto... commentò lui, continuando col tono paternalistico, mentre la porgeva una mano per aiutarla ad uscire. Mano guantata, niente di meno, con guanto viola in pelle, di gran classe, osservò lei, scherzando.
Mia cara, sai che sono un signore... rispose lui. Stava al gioco.
Berlin era terribilmente felice.
Poi si accorse di essere ora fuori dall'acqua, gocciolante in quella che sembrava una camicia da notte seminvisibile.
Wendy, mormorò lui, leggendole nel pensiero.
Berlin-Wendy avvampò, non sapendo da quale parte del corpo iniziare per coprirsi. E avere solo due mani non le avrebbe reso l'impresa facile.
Ma lui le si avvicinò ancora, e con la sinistra guantata le scostò i capelli bagnati che le ricadevano fin sul seno.
Il solo sentirsi sfiorare, e con un guanto per di più, riaccese il reattore nucleare nel petto di Berlin.
Ehi.. Wendyyy... Berlin rise alla terrificante citazione, dimenticandosi per un attimo di essere sul punto di svenire.
Rialzò gli occhi e lo guardò in faccia, stavolta davvero, per la prima volta da quando si erano conosciuti.
Sono già tutti morti, di sotto? chiese, con la voce incrinata dall'emozione, come una bambina alla sua prima cotta.
Incantevole, sussurrò lui, facendo scorrere l'indice sul suo collo.
Berlin abbassò gli occhi.
Ora... le avrebbe notate. Era impossibile non vederle, ora. S'irrigidì, e lui chiaramente se ne accorse.
La punta del suo dito era proprio lì, sulla più grande.
Berlin non osò controllare, ma era certa che lui stesse contando le sue cicatrici. Quelle "antiestetiche macchioline scure" che le costellavano il collo, e la schiena, e le spalle, e le gambe... e le tette, dannazione, le tette! Perché cazzo non era riuscita a evitarle, almeno lì? Perché non era riuscita a fermarsi?! Il semplice fatto che poi non avrebbe più potuto mostrarsi nuda non era bastato, evidentemente!
Ma forse... forse non le vedrà tutte... forse... questa ipotesi, che avrebbe dovuto confortarla, stranamente non la entusiasmava granché.
Questo doveva aver a che fare con quel elettrizzante tepore che le infondeva il suo tocco.
Tocco che non aveva interrotto... la sua mano era ancora lì, sul suo collo, e le dita percorrevano piano la distanza che separava un segno dall'altro. Lì erano piccole, semplici macchioline scure che un osservatore comune avrebbe potuto scambiare sicuramente per nei... ma lui non è comune, pensò Berlin, e fu la prima volta che quel pensiero la rattristò.
Poi l'indice guantato scese, e Berlin temette il peggio. Non era pronta. Tremò così forte da spalancare gli occhi verso di lui, che aveva cominciato ad accarezzarle il bordo dell'abito - la scollatura.
Non era una scollatura profonda, ma lei sapeva... che copriva solo per pochi millimetri la zona che avrebbe dovuto proteggere - No... voleva opporsi, voleva dirlo e fermare quello studio, ma aveva anche paura che lui fraintendesse... che capisse che lei non voleva essere toccata da lui... No, non poteva dargli questa impressione, perché...
Wendy.
Il suo sussurro, di solito sibilante di minaccia, adesso suonava quasi dolce - preoccupato.
Berlin lo guardò. Disappannò gli occhi - trucco con cui di solito fingeva di stare guardando in viso una persona, come la buona educazione imponeva di fare durante la conversazione, evitando così l'imbarazzo del contatto visivo con un altro essere umano, ma che con lui non funzionava -, dalle lacrime, stavolta, e lo guardò davvero.
La sua mano scese ancora, aprì tutti i bottoni, spalancando il corsetto sulla pelle nuda e umida di Berlin - e lei non se ne accorse neppure.
Quando capì, non cercò di nascondersi, sapeva che non le sarebbe stato possibile... restò lì, ferma.
Lui la accarezzò ancora, toccò ogni sua cicatrice, come se stesse giocando a unire i puntini per vedere che disegno c'era sotto.
Sai, se...  tu fossi... chiunque altro, io... l'avrei fatto col coltello, ma tu... 
S'interruppe, con lo bocca che sfiorava il suo collo. Berlin sentiva il calore del suo fiato sulla pelle, e le gocce di saliva che le scivolavano addosso ogni volta che il tono di lui si faceva più forte e le sue parole più veloci, all'improvviso.
Tu sei bellissima.
Poi la sua analisi riprese, e le strappò il vestito, gettandolo nell'acqua, come un'ala strappata di farfalla.
Berlin, il bozzolo, restò davanti a lui, senza più nulla addosso, se non le mutandine.
Bella... BELLISSIMA... Bella... BellissiMA... continuò lui, cantilenando fra sè e sè, con una voce fragile e lieve, che a tratti si faceva il sibilo di un demone. Bella... la ninnananna di un pazzo, mentre le sue dita scoprivano ogni cicatrice. Si chinò, per scrutare la pancia di Berlin, e ormai in ginocchio poggiò la fronte sul suo ombelico.
Questa è sempre la prima, sussurrò, e raddrizzandosi fu sul punto di riprendere la sua litania. Ma era all'altezza dei suoi slip, e...
Non farlo, lo pregò Berlin col pensiero, alzando gli occhi, chiusi come se fossero stati cuciti, al soffitto affrescato.
Tuttavia questa volta la loro telepatia non si accese, e il suo eroe la spogliò, alla fine, guidato nella scelta dal piccolo segno biancastro che a pochi millimetri dall'anca correva sotto il bordo dei suoi slip.
Un vecchio taglietto, che non ricordava neanche più come si era fatta.

Thursday 25 October 2012

Tea time (e poi c'è Tea)

E poi c'è Tea.
Tea è bellissima, è una stronza, è magnetica - non puoi staccarle gli occhi di dosso.
Tea ti strappa il cuore, e non se ne fa nulla.
Tea è una dea, è l'incarnazione del dionisiaco, ha un'aureola di fiamme che incendia lo spirito degli altri.
Tutti notano Tea - tutti la desiderano.
Tutti s'innamorano di Tea - e poi c'è K., per crollare a pezzi.

Tea e K. stanno nello stesso corpo.
Sono il Male e il Bene, la luce e l'oscuro di una sola anima.
Che andrà all'Inferno grazie a Tea, che vive all'Inferno a spese di K.
Il loro corpo è un campo di battaglia - la vecchia lotta tra gli angeli e i demoni.

E come sempre, e in ogni caso, sarà Tea spietata a festeggiare.

Tea preme il grilletto, e K. si becca la pallottola - K. piange, e Tea accumula le proprie colpe.

Non c'è amore per K., c'è solo sesso per Tea disillusa.

Intanto il loro corpo si addobba di tacche, segni indelebili di troppa virtù per pochi vizi.


...a volte penso
Al buon vecchio trucco di Fight Club.
[ma è ovvio che però
Dopo finirei del tutto
Vuota.]

Faccio bene a scaricarmi - così Tea resta buona, almeno per un po'.

Wednesday 24 October 2012

Your drug is my love

Berlin sta lì, immobile davanti al computer, spento.
Lei non se ne accorge neppure, che è spento. Lei sta lì, sospesa, con la testa leggera, che galleggia in un mare di cazzate. Non pensa. I pensieri la guidano, lei rimane inerme, inerte, a farsi palleggiare da un flash all'altro. Sente il processo del pensiero, sente le sinapsi che fanno il loro sporco lavoro che qualcuno dovrà pur fare - ma per il resto, non sente niente. Bella, questa pace, pensa il suo fegato, che finalmente ha smesso di rodersi. Sìììììì, mormorano in estasi tutte le cellule del suo confuso organismo evanescente, e Berlin scompare, puff!, in una nuvola d'amore.

Però, chissà cos'è stato! pensa tranquilla, senza battere ciglio, mentre l'effetto dell'illuminazione svanisce. Azzarda qualche ipotesi, la butta là, tanto per fare: 0 mentale? crollo psicotico? frantumazione dell'io?
Situazioni tutte molto intriganti, a loro modo.
Poi vede i libri, quella foresta di testi che si ammucchiano intorno a lei, che sbarrano la libera espressione della sua libertà post-adolescenziale. ESAMI! la routine riprende a lampeggiare nel suo cervello, il Grillo Parlante si rimette a macchinare a pieno regime: TESI! ESAMI! LAVORO, trova un LAVORO! $! $! $!
Berlin sente di nuovo bruciare il Super Ego, sente le fitte allo stomaco, e la frustrazione imperlarle gli occhi. Le palpebre le pesano, la pressione è un macigno che le opprime il cuore.
Un cuore che fino a poco prima non sapeva di avere.
Tutta colpa di... - naa, stavolta non le riesce proprio, di fare la cinica Nemica dell'Amore, quella disillusa che di Cupido apprezza solo la mira da cecchino. E l'evidente sadismo, perché come si può passare i giorni a far innamorare esseri umani di altri esseri umani a loro perfettamente incompatibili, se non si nutre un perverso stuzzicante gusto per il patire altrui? Berlin avrebbe sempre voluto imparare a giocare con gli esseri umani, ma la manipolazione non era un dono che le era stato concesso. Però è dannatamente brava ad assorbire i sentimenti di chi le sta vicino (solo quelli negativi però, si badi) e lasciarsi logare da essi. Introiezione, ecco il superpotere che rende Berlin candidata ideale alla segreteria dei Vendicatori.
Certo che passo la vita a lamentarmi, pensa, e la mano le scorre automaticamente, senza sforzo, sulla schiena - tasta ogni millimetro della sua pelle, controlla cicatrici ormai fatte, e brufoli in arrivo, evita i nei, scansa le vertebre che sporgono quando Berlin sbaglia postura, e poi... eccolo qui. Le unghie iniziano a scavare, percorrono la crosta nei suoi contorni, attente a non sbagliare mossa, s'insinuano nel punto giusto, dove il bordo, secco e frastagliato, così invitante, è già (appena appena) sollevato, un po'... increspato, diciamo... e senza caos e senza rumore staccano il piccolo lembo di pelle morta, vanificano il lavoro delle piastrine, e regalano a Berlin un sollievo che più di quanti si pensa capirebbero.
Se Berlin vedesse chiunque altro fare un lavoro del genere, sverrebbe, o verrebbe colta da nausea certa. Ma Berlin è egocentrica, guarda solo il proprio ombelico, è introspettiva, individualista, snob, egoista - no, egoista no, ma nessuno riesce a capirlo.
Bè, il corpo di Berlin è decorato di innumerevoli segni di quella masochistica valvola di sfogo, l'unica che funzioni - almeno così crede lei, che ha provato senza successo a fumare, a bere, a fare sport, a dare la caccia ad altri esseri umani - questo no, sto scherzando.
Ed è per questo che Berlin, che pure anela disperatamente all'Ammmore, non riesce onestamente a dar il giusto credito al sesso. Perché sa quanto superficiale sia l'umano, sa che è la perfezione (esteriore?) ciò che conta, e quindi sa di non disporre dell'attrezzatura adatta per quel genere di acrobazie.
Ma forse non è un male, perché questa nevrosi la induce a isolarsi, a stare lontano dall'Altro, e studiare - STUDIARE! urla appunto il Grillo Parlante, e con un conato di vomito stroncato giusto in tempo Berlin allunga la mano verso uno dei libri che deve ancora sintetizzare per l'esame.
Quale esame? le piacerebbe chiedersi, ma è perfettamente conscia dei propri doveri accademici. Vorrebbe essere una studentessa di Sto C***o e passare l'anno accademico tra mercoledì universitari e venerdì riabilitativi, ma... ecco, Berlin cara, ciò significherebbe avere una vita s-o-c-i-a-l-e... non fare quella faccia, è proprio della natura umana aggreg...
STUDIA!
Ah, quel senso del dovere che solo Kant poteva inocularti così bene...
Berlin apre il libro, accende una luce più forte, per scoraggiare il bisogno di sonno che la melancolia le suscita tutto il giorno, e inizia a leggere, distratta... e quella distrazione la delude... era tra le prime della classe, al liceo, cacchiolina! Socchiude gli occhi, fa un respiro profondo, raddrizza la colonna vertebrale e riprende a leggere.
E la mano s'insinua di nuovo sotto la maglia, elude la vana barriera della canottiera, che Berlin aveva tentato per dissuadersi da quel vizio deturpante, e stavolta tenta una preda più ghiotta: sì, proprio lì sotto la garza, quel brutto graffio che la coinquilina che l'aveva aiuta a incerottarsi non riusciva proprio a capire come Berlin se la fosse procurata...
Già solo il tocco la fa sentire meglio, più rilassata... una volta conclusa l'operazione starà al top... ma è solo un momento, un picco di piacere in un'eternità grigia... poi servirà graffiarsi di nuovo, e di nuovo, e di nuovo... era questo che provavano gli altri nel sesso? Il dubbio le attraversa la mente, ma ricordare certi attimi di felicità non autolesionistica la farebbe stare ancora peggio, meglio non pensarci. Ormai sono divisi, qualcuno li ha divisi e per il Bene Supremo vuole tenerli divisi ancora, per sempre.
Prima di poter sentire il bisogno di piangere, Berlin cerca di svuotarsi la mente - e così ricomincia il suo sfregiante passatempo.
Non riuscirà mai a smettere... giusto?

Mio elisir... inizi senza di me?

Berlin si interruppe, e rimase immobile, senza osare voltarsi. Sentì quel tocco, forte e inspiegabilmente... come dire... viscido, calmo e inevitabile, come le spire di un serpente di palude.  
La gioia le increspò le labbra.
Era tornato, lui era tornato!
Poi fu come una nebbiolina di assenzio si fosse alzata nella stanza, e la sua coscienza venne di nuovo sospesa, il suo Es liberato dalla sua sterile gabbia - e Berlin sparì di nuovo, per lasciare il suo corpo a qualcuno che ne sapeva godere decisamente di più.

Liebestrank (sole di sangue)

La bestia mi appare davanti, così vicino che riesco a vedere la mia espressione terrorizzata nei suoi occhi.
Dalle zanne gli cola una densa bava grigiastra, con sospette striature rosse.
Il suo fiato fetido mi accarezza il viso, i suoi artigli mi accarezzano il collo.
Immobile, troppo vicina a lui anche solo per tremare, sono schiacciata dalla sua massa contro un muro, non so più quale muro. Mi ha inseguito per tutto il castello, lasciandomi senza fiato, senza scarpe, e con braccia e gambe costellate di schegge di vetro. Ma non sento dolore. Sono troppo impegnata a percepire il dolore che sto per provare, per accorgermi di quello che sto attualmente provando.
La zampa, ruvida e pesante, che mi preme sul collo, ha l'odore della caccia, e dell'incendio nel bosco da cui siamo appena scappati. L'altra zampa, che tiene a pochi centimetri da me, pronta a colpire, all'altezza del cuore - sono sicura che potrebbe staccarmelo in una sola semplice mossa, e senza neanche scomodare la sua irsuta compagna -... so che è lì, ma non oso guardarla. I miei occhi, che bruciano da morire, per colpa del terrore e del fumo, sono fissi su di lui, sui suoi.
Ha gli occhi azzurri come il ghiaccio, e altrettanto empatici e colmi di calore umano. Umano?
...
...è un essere umano, che sta per farmi questo?
Il tempo non scorre più, appena questo pensiero prende a riecheggiarmi nella mente che credevo paralizzata.
Un essere umano che vuole uccidere crudelmente un altro essere umano.
Le sue zanne luccicano nel buio, mentre un lampo tra le fiamme che stanno devastando il bosco a pochi metri da noi ci rischiara - ma è solo un attimo, e del fuoco torna ad arrivarci solo l'effluvio catartico, e il crepitio. 
Un essere umano che vuole uccidere crudelmente un altro essere umano, e mangiarselo, probabilmente.
Sotto questa dannata, bellissima luna paffuta. 
La mia mano sinistra, che a differenza dell'altra non è bloccata in una inutile morsa attorno alla zampa che mi sta strangolando, scivola piano verso la vita. Scende ancora, e tra i brandelli del vestitino arriva a pochi millimetri dal bordo dell'autoreggente. In un accessorio così pretenzioso e ammiccante, dovevo proprio ficcare la pistola, eh.
Ma non c'è tempo per l'autocommiserazione, il mio senso di colpa fustigherà più tardi il mio goffo narcisismo... se nessuno ucciderà prima la mia coscienza, ben inteso.
Le mie dita sfiorano finalmente il calcio della pistola, sento il suo rinfrancante fresco sui polpastrelli, e poi... - è un attimo, e mi ritrovo a terra, scaraventata dalla bestia, che mi cade sopra in tutto il suo peso. La testa mi brucia, e non so dove... dal profumo ferroso che ora mi circonda, come una soffice nuvola d'ovatta rossastra, presumo di essermi ferita, da qualche parte del corpo. E la bestia è ferita quanto me, se non di più. Sta sopra di me, reggendosi furiosa e debole sulle zampe anterioriori, bava e sangue mi colano addosso, in una pioggia densa che mi inonda di nausea.
La pistola... non c'è più... alzo gli occhi alla luna, ignorando ormai deliberatamente il muso omicida della bestia, ma la luna non c'è più, o meglio, si sta scolorendo nel cielo quasi bianco. Una luce abbagliante e algida si spande ovunque. Sento l'ansimare forte e dolente della bestia, ma non ho più paura - la botta dev'essere stata troppo forte...
Ma la lotta continua, e la bestia ricomincia a infierire: alza le zampe per schiacciarmi ancora, e i suoi artigli mi scorrono rapidi sul petto - evidentemente, pensando a quanto facilmente mi avrebbe potuto cogliere il cuore gli ho dato un utile suggerimento. Mi strappa il tessuto del corsetto, restando impigliato, e continuando a graffiare fino a liberarsi. Vedo fiocchi di pizzo schizzare via da me, come fuochi fatui color perla e pece.
In una botta di energia adrenalinica mi dibatto sotto di lui, e se i miei calci non hanno effetto perché il suo peso mi blocca entrambe le gambe, almeno con gli avambracci riesco a colpirlo in faccia, cioè, sul muso, sempre più forte, violentemente accesa all'idea che ciò che mi sta opprimendo e picchiando non è un animale, e quindi innocente... ma un essere umano, e quindi colpevole! L'odio mi dà slancio, e riesco quasi a rialzarmi, spingendolo via da me - mi scaglio contro di lui ancora, e ancora, con le lacrime agli occhi per l'eccitazione e il disprezzo, desiderando fortissimamente di ferirlo, di fare del male all'uomo che c'è (o c'è stato) dentro di lui... voglio ucciderlo, voglio ucciderlo!
Muori bastardo, mi ritrovo a urlargli contro, colpendolo col dorso della mano, perché non mi rimane altro, dove vedo che il sangue è più scuro... voglio infierire, affondare con le dita - in mancanza di lame - nel punto dove il proiettile è sprofondato, mettere letteralmente il dito nella piaga, e sentirlo urlare dal male... Muori, muori!!
Ma la luce all'improvviso si fa ancora più forte, più calda, investe tutto, e ci travolge nella lotta...
La bestia ulula, e sento tutta la sofferenza del suo verso, mentre in un ultimo gesto mi rovescia di nuovo a terra, la schiena contro il terreno duro d'inverno.

E quando riapro gli occhi, ancora vibriamo di furore, entrambi, incendiati dalla violenza che dobbiamo ancora sfogare.
Su di me c'è lui, è umano ora - sempre che mai lo sia stato. Ludwig coi suoi occhi crudelmente gelidi, e il viso bagnato del suo sangue e del mio.
Tu...? mormoro, tra la sorpresa e l'odio, guardandolo fisso, tremando - di rabbia, e freddo, e caldo... è l'alba, è febbraio, ma il suo corpo emana un certo strano... dolce... tepore, sopra di me...
Ludwig ansima ancora, senza dire nulla, per riprendere fiato tra le fitte della nostra lotta.
Il suo sguardo scende lungo i rivoli di sudore e plasma che mi bagnano il viso e il collo, fino al petto, il cui corsetto è ormai lacerato. Arrossisco, per quanto è possibile - si deve vedere praticamente tutto, là sotto, dannazione - ma non riesco a dire nulla, senza respiro anch'io dallo scontro.
Io ti ho... ti ho ferito, Scheiße! balbetta, a stento, orripilato. Sollevo il busto, quel che basta per dare un'occhiata alla zona che sta fissando lui con orrore e vergogna, ma gli addominali dolgono, e faccio in tempo solo a intravedere una lunga striscia rossastra poco più su del seno. Sverrei, ma sono troppo sfinita e insieme troppo carica per cedere ai miei impulsi di donzella impressionabile. Ti... ti chiedo scusa... sussurra mortificato, apparentemente incurante della ferita che gli ho causato io, e con un proiettile d'argento, tra l'altro.
Non rispondo, alzo gli occhi su di lui, e basta. Incazzata.
Anche lui è ancora teso, lo sento, vorrebbe continuare la battaglia. Il mio desiderio di fargli male non è ancora sparito, anche se non ho più l'impulso scatenato di urlargli di morire.
Poi scatta qualcosa, di nuovo, e vedo nei suoi occhi, puntati sul graffio che ho sul petto, una scintilla di... qualcosa di diverso, non so cosa. Alza anche lui gli occhi su di me, ci guardiamo. Seri, niente senso di colpa, o mortificazione. C'è quasi dell'astio, dell'ostilità, tra noi. Una strana elettricità tra poli opposti, pronta a fare esplodere qualcosa.
Faccio per dire qualcosa, una battuta sarcastica che prima contro di lui non mi sarebbe mai venuto l'istinto di scagliare, quando... la mano di Ludwig, quella stessa mano che prima era una zampa dagli artigli affilati e che mi aveva lacerato vestitino e pelle, scese sul mio petto. Non sul taglio, per tamponare sulla ferita - lì accanto, sul mio seno in bella vista. Sento la sua presa, la mano che stringe, e non so se è piacere o se è il graffio che improvvisamente brucia, ma mi si offusca la vista. Tendo il collo verso di lui, senza sapere che fare, e sento la sua bocca contro la mia. Un bacio che mi stordisce, mi chiude gli occhi e spegne il cervello - sento le corde con cui avrei dovuto imprigionarlo, quelle stesse corde da cui si era tanto facilmente liberato per poi lanciarsi contro di me, dando inizio al nostro duello, le corde ruvide e spesse stringermi i polsi, e lascio fare, non riesco a ribellarmi, non voglio... un lungo bacio, e poi  le sue labbra che delicatamente mi sfiorano il collo, scendendo piano, con un tocco leggero che mi fa rabbrividire di piacere... il loro calore contro l'aria sotto zero, il contatto morbido e umido del bacio contro la mia pelle che scotta... Resto di nuovo senza respiro, ma ora non è paura... Le sue mani stringono le mie, la sua bocca scende sempre di più... sento quel che resta del corsetto disfarsi al passaggio dei suoi baci, e poi... la sensazione ruvida e sconvolgente della sua camicia contro la mia pelle, della sua pelle contro la mia pelle... Non apro più gli occhi, mi mordo il labbro, sempre più forte, mentre le sue carezze scendono sempre più in giù... Tremo, quasi, e poi... e poi lui è dentro di me... Non resisto e lo guardo, e lui mi guarda, col volto arrossato e gli occhi luccicanti di febbre... vedo anche dove l'ho colpito, sul petto, di striscio, poco sopra il cuore... graffi e lividi ovunque, ma non li vedrò che tra molto, molto... Mi sfugge un gemito, e inarco la schiena, dal piacere... lui è ancora sopra di me, e si china a baciarmi il seno, arrossendo... riesco a baciarlo, per un attimo, quando riprende a stringermi i polsi, posando le mani sopra la stretta delle corde, ed è un bacio più forte, e violento, in cui ci mordicchiamo a turno le labbra, come belve affamate... fino a quando non crolliamo esausti, l'uno contro l'altra, sul terreno freddo d'inverno, e la guerra è finita, il fuoco si è dissolto lasciandoci nella cenere.

Sotto un sole di sangue, la Bestia ritrovò forma umana grazie all'amore... o fu l'amore a trovare la Bestia grazie alla forma umana? 

Monday 22 October 2012

Bacio orribile

Cazzo, non amo nessuno, pensò.
La luce bianca dello schermo le si rifletteva sul viso, dandole una tintarella spettrale.
Gli occhi grigi restavano immobili, freddi, fissi sul monitor, a contemplare la voragine che aveva dentro - il cratere di un'implosione.
Un tempo le piacevano le bionde, ricordava. Le bionde dal volto ovale, da angelo in esilio, incorniciato da morbidi boccoli inanellati, le labbra disegnate e morbide, come quelle di un gatto - uno Stregatto dal sorriso enigmatico... il seno morbido altrettanto, accennato sotto quegli ampi maglioni irlandesi... Sospirò. Belle da mozzare il fiato, di quella bellezza davanti a cui non puoi fare altro che arrenderti, alzare le mani e restare in rispettoso silenzio. Una bellezza dolce e irraggiungibile, quasi inconsapevole di sè, che le ispirava un calore da squagliarle il cuore. 
Ora, quelle profonde cotte che il cuore glielo tagliavano come lame di luce il burro, in un chirurgico colpo solo, che si impadronivano di lei in meno di un battito, e la lasciavano boccheggiante e a testa spenta, erano altrettanto rapide nel loro svanire. Come stelle filanti in un cielo estivo, non le lasciavano che il ricordo di un desiderio.
Non ho più nulla, non spero più. Eppure continuo a volere - superfluo aggiungere che non scriveva più. Proprio non ci riusciva. Quando ci provava, si accorgeva - ogni volta come se fosse la prima - che stava solo tentando di muovere una parte di lei che, amputata di netto, ormai non c'era più. Certo, a volte quella ferita spandeva un po' di liquido sul foglio, ma era semplicemente un fiotto putrido che le ricordava che l'unica era arredendersi. Come una volta non poteva che cedere alla devastante passione che si propagava in lei come un'infezione, ora avrebbe dovuto issare bandiera bianca alla sua mediocrità.
Era un sepolcro vuoto, quel tempio che una volta era avamposto di Dioniso.

C'era ancora un fantasma, ad infestare quel cimitero in rovina, sì.
Era perfetto, sì: pazzo, guidato nel suo imprevedibile agire mortale dallo squilibrio di una mente scissa tra il sadismo e il caos, sul filo di un rasoio che non esitava mai ad usare, con gli occhi accesi da una luce malvagia, cerchiati del nero di un pozzo senza fondo, e lunghi canini acuminati, e labbra sporche di sangue (finto forse, o chissà), e cicatrici... Sì, era perfetto, con la sua orrenda risata secca e gelida, la voce che era un sussurro e un grido dall'inferno, bianco come il morto che non ha mai visto la luce, caldo e tenero come le lame con cui giocava, da solo... Perfetto, e ora non le suscitava più niente. Perché era lontano, era come come se non ci fosse più.
Neppure quel bacio, quell'orribile bacio, quel primo che lui le aveva dato cucendole gli occhi, nemmeno quel bacio orribile l'avrebbe fatta rivivere, adesso.
Il suo cuore era morto, e quel clown vi abitava da tempo, nutrendosi a tratti della sua anima vuota.

Non era un clown, ma altri lo chiamavano così... per lei era solo il vecchio Joker delle carte.
Non aveva mai immaginato, prima di svegliarsi dall'incubo del mondo reale, che l'avrebbe incontrato, nel mondo reale.

Berlin - come il disco? no, come la città, vecchia storia - non riusciva più ad amare, e stranamente questo la faceva morire più del solito. 
Inchiodata al computer, alla ricerca di una spina che riaccendesse il suo spirito, non sapeva che fare, si lasciava rosicchiare dalla noia.
Pensava a lui, pensava a come l'avrebbe potuto evocare, ma niente risuonava dentro di lei, neanche allora.
Quei chiodi che lanciava nel pozzo, ecco... sprofondavano, senza creare cerchi, nell'acqua.
Pensava a quel bacio, a quello che era seguito, pensava a quell'amore che mai c'era stato, non sentiva lacrime, e più non sanguinava... sul polso lo squarcio si era proprio ben rimarginato. 

Ricordò quand'era stata tra le sue braccia, per un attimo, e lui curandola le aveva sorriso davvero... L'ago che spuntava qua e là trapuntandola, non l'aveva sentito affatto, perché c'era lui, e lui la stava salvando.
Guarda, gli aveva mormorato, appena lui si era avvicinato abbastanza. Lei si stava dissanguando, in quell'angolo buio, e lui era corso da lei, e l'aveva stretta forte. Era quasi sicura che il suo sangue l'avesse sporcato, sì. Lui le aveva sorriso, ed entrambi avevano le lacrime agli occhi - lei non sapeva perché, ma entrambi dovevano aver pianto... Un bacio, lei sviene, e quando rinviene è ancora tra le braccia di lui, ma sta meglio - è viva, ora sa davvero di essere viva... E lui è lì, e ora ci sono i poliziotti, ovunque, decine di agenti intorno a loro, ma loro sono vivi, vivi insieme - è l'unico modo...

Berlin ora piange, ma piange dentro di sè, consumandosi. Come una candela che ha raggiungo il fondo, e fa evaporare la sua stessa cera. Forse, fisicamente insensato.

Ricorda quel bacio, e ciò che si erano detti, prima che loro glielo strappassero...
Come te, aveva rantolato lei, sentendo che in quell'attimo era veramente felice. E gli aveva sfiorato il polso, sorridendo.
Come te, aveva sussurrato lui, posando il proprio polso su quello di lei, appena fasciato.
E le aveva sorriso, ancora, davvero.

Berlin abbassò gli occhi in fiamme sul braccio, che le ricadeva in grembo, come staccato dal suo corpo.
Ricordando che quella notte lui aveva usato un pezzo della propria camicia, per fermare il sangue che da lei si spandeva sul pavimento.
Arrossì. Era stata pratica, quella notte, a scegliere di ferirsi proprio nell'infermeria della clinica.
Altrimenti, a quel punto, sarebbe stata certamente morta, davvero.

Quel taglio che dal polso scorreva fino a metà avambraccio... per loro era come una fede nuziale, pensavano rabbrividendo i servitori della legge, guardando il fiore malsano sbocciato davanti a loro.

Berlin aveva pianto, per giorni, dopo l'alba in cui aveva riavuto la vita, e perso il cuore - per sempre?

La giustizia aveva portato via colui che l'aveva salvata dalla morte che aveva tentato per salvarlo.
La polizia aveva spezzato quella contorta catena di filo spinato arrugginito e ortiche che li punge e legava?
Di sicuro, il suo nemico l'aveva sbattuto in una cella. Da cui lui, per quanto grande, stordito da qualcosa che potendo scegliere mai gli sarebbe piaciuto usare (così innocuo, troppo dolce!), non poteva scappare. Una cella che era una bolla asettica nel nulla, senza colore e senza colore, con le pareti imbottite, e una splendida vista sulla propria solitaria prigionia. Neanche sbarre, pareti impenetrabili. E come giacca da camera, la camicia di forza.

Ah, Arkham Asylum.
Ecco dove avrebbe voluto sin da giovinetta passare la luna di fiele.
- Ehm, miele, giusto.
Già, col principe... azzurro... giusto. -

E da quel ricordo, fiorisce qualcosa.
Berlin risorge, ricomincia a sentire qualcosa.
Dal ricordo di quel bacio rifiorisce finalmente il suo dolore.

Lui c'è, c'era ancora. Era dentro di lei, che riprese a sentirlo, ora. 

Lei là, persa nella sua bolla dorata, e lui là, tra le braccia della morte.

In quel nido di neve, l'unico colore è porpora - dei petali della rosa, che lei gli ha mandato.
Con l'augurio di guarire presto.
Un augurio per entrambi, per cui la cura è comune.

Sunday 21 October 2012

Preußisch Blau






As Wikipedia says,

Blu di Prussia

 
— Coordinate del colore —
HEX#003153
RGB1(rgb)(0, 49, 83)
CMYK2(cmyk)(63, 35, 14, 72)
HSV(hsv)(205°, 100%, 43%)
1: normalizzato a [0-255] (byte)
2: normalizzato a [0-100] (%)

http://it.wikipedia.org/wiki/Blu_di_Prussia
http://it.wikipedia.org/wiki/Bandiera_della_Prussia

Thursday 18 October 2012

Cupido o carnefice?

Cupido o carnefice?

Si svuotano i bicchieri, e si riempiono di assenzio
Quegli occhi che nessuno
Tra noi ha mai visto vivere
- un mare velenoso
Di nebbia, disprezzo e ghiaccio
Profondo, sempre immobile
In cui solo fantasmi
Che guardano al passato...
Perchè il presente è ora,
E a te non interessa.
Il segno è ancora caldo
Della tua cicatrice,
Eppure quella freccia
Forse non ti ha mai colpito
- sogni oppure fingi
Di viver per qualcuno?
Sei freddo e impenetrabile
Come un sepolcro vuoto
Ma forse è proprio per questo
Che mi sconvolgi tanto.
A te amore dà morte, e me costringe in vita
A marcire per te
Che intanto aspetti un'altra.
Una zolletta in fiamme, ecco per noi il cerotto
Sporco che tiene insieme
Lo spirito di Eros infetto.


                                             
                           (desperately seekin') C.D.C.

May you hear me?

May you hear me?
(in silenzio, per amore,
Nella neve il cuore muore)

Briciole di sangue nascoste nella neve
- le tracce di un amore
Che mi affoga nel nulla.
Fa così freddo qui, anche qui accanto a te
...tu non provi più nulla,
Ed io muoio per te.
Il gelo mi trascina,
Mi strascica sul ghiaccio - così il mio cuore sanguina,
Senza potersi fermare.
Sarà questa la vita,
Morire accanto a te?
Io odio innamorarmi, ma forse è troppo tardi
- angelo crocifisso,
Perché sei tanto vuoto?
Vorrei crollarti al fianco, sentire la tua voce
Danzarmi nella mente
Mentre il delirio cresce...
É un bel giorno di festa,
San Valentino di strage
- chissà se ha ancora senso
Tingere le rose di lacrime.
Tu neanche mi vedi,
Per te non sono affatto
Mentre mi spengo ai tuoi piedi
Guardandoti negli occhi.
Lascia cadere un petalo,
Un fiocco di cristallo
- lascia che qualcosa di te
Almeno mi raggiunga.
...tremendo amare amati,
Letale tutto il resto:
Sarà così per sempre
O mi abbandonerò in tempo?
Il dolore nei tuoi occhi mi ha reso ormai tua schiava
- assura e dipendente,
Tra le catene di spine, immobile e piagata.

                                      
                                                       C.D.C. as well

Monday 15 October 2012

Poetry & sad sighs


Poetry & sad sighs

Posso legarti
A quel che resta del mio mondo,
Posso graffiarti
Sperando di affondare fino al cuore
- ma non ci sarà mai segno
Mio che possa restare
Su quel candido argento
Che vela il tuo spirito freddo
- che ogni cosa distrugge nel profondo.
I tuoi occhi bruciano,
Le corde ti feriscono la pelle
Ma tu dentro di te voli e vaghi
Libero,
Senza mai farti scaldare
Dalle illusioni pietose
Che tengono in vita tutti gli altri.

Non ho più parole, per dirti quanto ti amo
non ho più la forza di continuare a lottare
Il terreno è dolce,
In questo campo di battaglia
Dove all'alba i cadaveri
Spariscono tra i roghi che l'odio
Alimenta per me,
Per potermi purificare
Da quest'assurda speranza di gioia
Che mi dissangua,
É un'emorraggia della mente
- non credo che amarti
Mi abbia illuminata,
Per niente.

Non ho più parole, e le lacrime sono gemme secche
Cristalli che ho sprecato,
Con cui avrei potuto abbagliare il diavolo, o farmi bella tra i santi
- senza riuscire a fermarmi.
Ormai la mia gola è vuota,
Il mio cuore è gonfio di spine
E tra garze e bende
Non riesco più a scrivere di te.

...che sia questo il mio primo passo
Nella disintossicazione?


                                                                                                                  la nostra diletta C.D.C.

Saturday 13 October 2012

Rose marce

Devi... smetterla... di scrivere... DI ME!
Dice la Musa, barcollando a destra e sinistra davanti a me.
Ha un coltello, un bel coltello da cucina, bello (e) affilato, intarsiato con qualche umido rubino.
Ah, no, sono goccioline. Di sangue.
La Musa mi ha incatenato ai piedi del letto. Sento gli anelli delle catene che tintinnano, ogni volta che mi irrigidisco, quando la Musa scatta in avanti per urlarmi addosso.
La Musa si ferma, finalmente, ma è un attimo.
Capito? chiede, piano, tremando un po'. Hai... CAPITO?! ... sì? aggiunge, guardandomi con gli occhi arrossati, pieni di speranza. E odio. E voglia di uccidermi lentamente, senza lasciarmi neppure il privilegio di urlare.
Una lacrima mi scivola lungo la guancia. Odio quella sensazione di bagnato. Vorrei asciugarmi il viso, ma ho le mani impegnate.
Non po... mormoro. Non posso, concludo, in fretta. Sto iniziando a parlare come la Musa.
Che non puuuooiii sibila a sua volta, fremendo di rabbia. 
Che abbassa gli occhi sulla maglia che indosso, e cambia ancora una volta.
Non puoi, ripete, lentamente, in tono pensoso. Il suo coltello è ancora sospeso nell'aria, immobile, puntato contro di me. La punta della lama, a un soffio dalla mia bocca. Poco più avanti del punto dove la lacrima si è fermata.
Smetto di respirare, il mio cuore smette di battere. Il mio cervello non dà segni di attività.
Resto tesa, in attesa.
Il coltello cade, la lama si schianta sul pavimento, tintinnando come una campana a festa in quell'enorme, vuota, gelida stanza.
La Musa cade, il suo corpo crolla, in ginocchio sul pavimento.
Ad un passo da me.
La Musa piange, e dal suo viso gocciano stille bianche e rosse.
Rimango sospesa, coi polsi che bruciano sotto quelle catene, e piango anch'io, ma in silenzio, piango dentro.
Non possiamo, vero? penso, e non dico.
La Musa ora tace, persa nella sua croce, e il mio inferno è ormai il suo, ora sa.


Friday 12 October 2012

F* pervert

Caro diario,
                 come stai?
Ultimamente mi sono innamorata di uno psicopatico. Non prova emozioni, è bellissimo, è brillante, e ieri mi ha invitato a un massacro di cui sono stata l'unica sopravvissuta. Molto romantico: mi ha offerto un drink, che tra i disponibili sulla lista pare io sia stata l'unica a scegliere, e questo l'ha colpito (ah, sì, devi sapere che si era travestito da cameriere, e stava dietro il bancone all'insaputa di tutti. Stava proprio bene, con la cravatta e il gilet. Erano di un colore un po' strano, ma che, sono sicura, diventerà presto di moda, e si intonava ai suoi capelli). Ha detto che l'avrebbe ribattezzato, ispirandosi a me. E poi mi ha allungato una carta da gioco, la Donna di Fiori - Les fleurs du mal, je l'espère, ha sussurrato. Bè, sembrava più un sibilo, un seducente sibilo... ma mi ha fatto venire le vertigini. E poi ha usato quella carta come sottobicchiere, per posarci il mio cocktail. Era assurdamente bello: c'era un verde radioattivo in perfetta armonia con un viola bellissimo, mi ha fatto pensare a qualcosa di sacro... dividevano in due il bicchiere, ma quando l'ho preso in mano hanno iniziato a... come dire... espandersi, però in maniera complementare... come nello Yin e Yang, hai presente? L'ha notato anche lui, e si avvicinato di nuovo. Con la siringa (già, già, ma era la festa di Halloween, ho pensato che fosse un "attrezzo di scena", e non mi sono impressionata - con gli effetti che mi fanno gli aghi da qualche tempo, poi...) che a quanto pare aveva usato prima per preparare quello spettacolare drink (credo, ma non so perché affermo una cosa del genere, ero troppo impegnata a ignorare la gente attorno a me per usare la vista a raggi x e guardare attraverso la sua schiena come stesse mescolando i miei ingredienti... insomma, diario, sai come sono fatta e sai che la gente mi fa strano, abbi pietà! e poi lui ha le spalle così larghe, e forti... non troppo, tipo palestrato - che schifo -, ma più... insomma, da vero uomo... mh...), con la siringa magica ha fatto cadere due gocce, una per ciascun colore, e puff! con una lieve lingua di fumo che si levava dal suo contenuto, ecco nel mio bicchiere la perfetta versione viola-verde del simbolo dell'armonia. Compenetrazione degli opposti. Avevamo mormorato entrambi la stessa cosa. Surreale. Anche lui deve essersi (piacevolmente?) sorpreso, perché mentre io arrossivo senza vederci più granché, riuscii a notare che sorrideva. Aveva del cerone in viso, forse per essere più "spettrale" per quella festa, però... il mio senso di ragno mi diceva che aveva anche qualcosa da nascondere, sotto quel trucco. Cicatrici, avevo intuito/sperato, e così emozionata da quell'incontro, che non so perché inziavo a sognare non finisse mai, sollevato il calice in un cenno di brindisi verso di lui (che, avevo notato, si era fatto lo stesso delizioso capolavoro etilico e aveva imitato il mio gesto, verso di me, in stereo con me) avevo preso il primo sorso.
Non c'è certo bisogno di dire che era strepitoso.
Bevetti piano (beh, più lentamente che potevo - ma era così buono, cavolo!), guardando la carta che avevo davanti - era un po' gothic, un po' lolita, per essere una Regina di Fiori, ma d'altronde era proprio così che mi immaginavo Ginevra (storia con Lancillotto a pare, io ho sempre amato Galahad), e lanciando a quello ancora per poco avrei creduto il barista qualche occhiata furtiva, che speravo sembrasse casuale. No: sapevo che avrebbe capito, e in fondo ci speravo, era giusto così. Ero folgorata. Quell'uomo aveva... qualcosa. Di fantastico.
Ma non m'illusi. Barista. Sappiamo che significa. E io non ero neppure la meno brutta del locale. Certo, avevo un bel vestito, ma... un travestimento da birraia tedesca... alla stessa festa in cui ogni cm quadrato era affollato di angeli di Victoria's Secret e diavolette vogliose. Mah. Però avevo scoperto un nuovo grandioso drink, ed ero sopravvissuta a un evento sociale. Letteralmente.
Quando finii il drink, sotto lo sguardo acceso di una luce che m'incasinava le sinapsi e annodava l'anima del barista, mi accorsi che una leggera nebbiolina si stava alzando dal pavimento. Pavimento ricoperto di persone svenute, per l'alcol, pensai. Scoccava proprio in quel momento la mezzanotte, era presto, ma in fondo era una festa privata, e... bè, era naturale fossero tutti già sbronzi, è la natura umana.
Mi voltai stranita verso di lui, che aveva a sua volta finito il drink. Mi sorrise di nuovo, e la luce diabolica dei suoi occhi diede una fiammata che mi accelerò notevolmente i battiti cardiaci - il suo sorriso, non l'atmosfera da Notte dei Morti Viventi che si era creata lì attorno. Caro diario, sono proprio una sociopatica.
Adesso va', mia regina, la tua zucca ti aspetta.
Sorrisi alla sua duplice battuta, e non so perché ma saggiamente ubbidii.
Grazie, era spettacolare! Sorrisi ancora di più, tentanto il tutto e per tutto. Arrivederci!
Ah, com'ero educata .-.,
Ah, a molto di più... spero, rispose lui in un sussurro un po' rauco, una versione Halloween di Tom Waits, in quel momento, e il mio intero essere vacillò. Spero anch'io, pensai, augurandomi che intendessimo la stessa cosa, e chiedendomi amaramente se fosse davvero così. Certo! mi trovai ad esclamare, al colmo della mia audacia, mentre sguasciavo fuori dalla porta, occlusa da una pila umana, una delle tante che si erano accidentalmente formate in quel labirinto di prosaici sbronzoni.

Caro diario, ho letto qualche minuto fa il giornale. 
Mi chiedo come, e se il mio amore fiorirà in manicomio.

XOXO (ahahah, citazione colta. Ah.)