Cercando nel labirinto degli specchi

Friday 30 November 2012

Oscillare

Un'altra goccia cade nell'acqua, spezzando il sorriso che brilla nel suo riflesso.

Un'altra goccia cade nell'acqua, scivolando giù dalla sua anima senza speranza.

Un'altra goccia cade nell'acqua, calda del piacere che solo il suo corpo può provare.


Passano i giorni, e le garze si fanno sempre più chiare.
Il sole splende, forse, là fuori.
Sono giorni che non può più uscire.
Si chiede se una volta guarito si dovrà ritirare... in un qualche centro di igiene mentale.
Passano i giorni, ma da un po' a ricominciato a dormire. Non è più merito degli oppiacei però - da quando quella ragazza è tornata, sente dentro di sé una strana pace... come se lei gli avesse guarito qualcosa, dentro.
Non ha neanche più voglia di scappare, e cercare l'uomo che gli ha distrutto la vita. E la faccia.
Adesso... non si chiede più niente, resta lì a letto, a riposare. I medici sono felici, gli amici sono felici, e la sua pelle comincia a cicatrizzare. La vita è bella, quando riesci a riconoscerla.

Le ragazze si spogliano l'un l'altra, guardandosi negli occhi, piano.
Una inclina la testa a destra, l'altra a sinistra... e quando gli abiti cadono, entrambe raddrizzano il capo, e si baciano.
Lui è sul letto, dove loro l'hanno spinto, e svestito.
La ragazza a destra, con il completino bianco, gli si stende al fianco, e comincia ad accarezzarlo.
La ragazza a sinistra, con il completino nero, gli si accovaccia tra le gambe, e comincia ad abbassargli i boxer.
Riesce a vederne solo gli occhi, e la lingerie, che risplendono nel buio della stanza... I loro occhi restano fissi su di lui, a ogni mossa... e sono verdi, incredibilmente verdi, come shottini di assenzio radioattivo.
La Bianca gli sfiora dolcemente il petto, strisciandogli lentamente i polpastrelli sulla pelle, e risalendo lungo il collo lo bacia a fior di labbra. Lui fa per ricambiare, vuole toccarla a sua volta... ma lei gli blocca la mano, stringendola nella sua, e, dopo un dolcissimo sorriso che lo squaglia dentro, ricomincia a baciarlo.
Anche la Nera gli prende una mano, l'altra... e la guida su di sé, se la posa sul seno, chinandosi su di lui per leccargli il collo, poi il petto... e quando il bacio della Bianca si fa più intenso... quello della Nera scende, e lui sussulta, definitivamente... eccitato.
Le ragazze piegano entrambe la testa di nuovo di lato, la Nera a destra, e la Bianca a sinistra. Il loro sorriso si accende nel buio, e si allarga... come due metà di una stessa splendida luna.
Harvey... mormorano, entrambe, all'unisono. Harvey... Harvey... sussurrano vogliose.
I loro visi si avvicinano al suo, mentre continuano a invocare il suo nome - sente i loro corpi premersi contro il suo, vede le loro labbra farsi sempre più vicine - fino a quando non lo baciano, entrambe, insieme... E lui scorge in ciascuna di loro la sua unica e sola, Rachel.

Si sveglia di scatto, in un bagno di sudore, nella stanza asettica che è ormai sua, all'ospedale.
Recupera il fiato, mentre la tachicardia passa - e allora vede Berlin e Tea, accoccolate in un unico corpo, nell'altro lato del suo stesso letto.
Oddio! Che succede? Stai male? scatta su lei, stropicciandosi gli occhi con una mano che spunta a malapena dalla manica di una camicia troppo grande per lei. Di flanella, a scacchi, bianca e nera.
Berlin.
Lui espira, e rimettendosi disteso scuote la testa. Un... incubo, non ti preoccupare.
Lei rimane seduta sul bordo del letto, guardandolo di sbieco, assonnata.
Bella camicia, le dice allora, per provarle con un cambio d'argomento che va tutto bene sul serio.
Lei sorride, fiera, e gira il busto per fargliela ammirare ancora meglio - sporgendo un po' il seno, quel che basta, non può non notare lui.
Tea.
Mi dona, vero?
Oh, eccome. risponde lui, chiedendosi se lei pensa che stia scherzando o meno.
Lei allora batte le mani, felice, in un applauso leggero. Dirò a Alfie che ha scelto bene allora! esclama, con la gioia di una bambina premiata.
Berlin di nuovo.
Anche la tua non è male, aggiunge poi, abbassando gli occhi sul suo torace, torbidamente.
Tea.
E infine, prima che lui possa rispondere qualcosa... Scusami, sai, dev'essere la stanchezza a parlare. Però la tua camicia mi piace molto davvero, borbotta lei, arrossendo, giocando nervosamente con uno dei propri bottoni, magari chiuso male.
Dent annuisce, con un sorriso che sembra sincero e stanco, e sposta lo sguardo verso la porta.
Sconvolgente.


smileinadarknight







(shine a smile)

Don't stop draggin' me down


E gli cado addosso, alle spalle, facendolo colare a picco con me.
Finiamo in ginocchio nella pozza, con l'acqua sporca e tiepida fino a metà coscia.
Vorrei sfilargli quell'assurdo completo viola, che gli sta così assurdamente bene, slacciargli il papillon storto, gettargli via i guanti e stringere davvero le sue mani, per una volta... Ma lui rimane nell'acqua, con la testa bassa, il capo chinato verso il suo riflesso inquinato. Vorrei stringerlo, e lo stringo, lo faccio.
Lui non si muove, e resta a sghignazzare assorto.
Appoggio la fronte sulla sua schiena, e chiudo gli occhi, divisi tra loro dalla sua colonna vertebrale. Li chiudo, aspettando, per ascoltare il battito del suo cuore.
Sento solo le sue risate sguaiate, nel silenzio morto di quella radura spianata nel nulla.
La periferia della città degli sciocchi. Dove anche l'innocenza si rassegna, e si lascia morire.
Lui ride così forte, così appassionatamente, che tutto il suo corpo ne è scosso.
Ondeggio su e giù con lui, aspettando, con tutta me stessa, che smetta.
Ma lui continua, come non ci fosse più altro da fare - continua come se con lui non ci fosse più nessuno. Come se non avesse altro di cui preoccuparsi.
Ride e si guarda, a occhi sgranati, nella pozzanghera, lasciando che il sudore gli gocci di tanto in tanto dalla fronte cerea, disturbando un ritratto che subito si ricompone come prima.
Ed è così. Non cambierà - ha raggiunto quella forma, quell'essere tanto tempo fa... e non potrà più cambiare, perché non può, e perché non vuole. È diventato così... il giorno in cui non ha più avuto nulla da perdere.
Chi, da libero, vorrebbe tornare a sentirsi vulnerabile?
Allora sospiro, ma invece di un sospiro il mio respiro si spezza, diventa un risucchio - un singhiozzo.
Scoppio in lacrime, e più tento di smettere, più forte i singhiozzi mi tagliano la gola.
Fa male. Brucia. E il cuore sembra piegarmisi dentro.
Ma lui non mi sente.
Finché non scivolo in avanti, e per errore lo abbraccio.
Sente le mie mani sul suo petto, che si incrociano e sul suo sterno s'intrecciano...
Allora mi chiede, shockato mi chiede:
Perché piangi?
C'è nella sua voce una tensione che mi fulmina. Non è solo sorpresa, è inquietudine, e orrore.
Perché piangi, sempre? mi chiede, e ogni parola trema.
Ho paura anch'io.
Però non mi riesce di cessare. La mia lagna... è iniziata, e mi sta scoperchiando la tomba.
Nessuno può distruggere ciò che realmente prova.
Trattengo il respiro, cercando di risanvire.
Ma le lacrime stillano impietose, e si spandono addosso a lui, sulla sua giacca lurida.
Non mi riesco a staccare.
Se non me ne posso andare... finirò trascinata a fondo, in quell'abisso contaminato.
Perché...
Si volta e i suoi occhi sono sbarrati dalla repulsione.
...piangi...
Gli sfugge una risata, isterica.
...TESORO?
Si alza, barcollando, colandomi addosso fango e detriti di quell'acqua torbida.
Io non rispondo, e lui mi afferra per il bavero, agitato dai brividi.
Le sue mani mi danno la scossa.
Riesco solo a guardarlo in faccia, senza reagire. Con le lacrime che iniziano a rinsecchirmisi, agli angoli degli occhi. I suoi sono lucidi e pesti, ma non smettono di brillare, folgorati. Il suo sguardo è come una scarica elettrica, continua.
Sento che dovrei deglutire, ma non oso.
Il suo dolore... che prima mi aveva spremuto il cuore... che mi aveva fatto desiderare così fortemente di poterlo curare... adesso è svanito, o è sordo, come al solito.
Adesso lui... vuole solo fare del male.
Lui attende ancora la mia risposta. Sa che sono troppo spaventata per parlar...
...e.
Mi cade addosso, lui, stavolta. Ricadiamo nell'acqua, ma ora io finisco nel fango, e lui contro di me, sul mio grembo. Mi affonda la testa tra la pieghe della camicia fradicia, fino a raggiungermi la pancia, attraverso il tessuto. E lì si lascia.
Piccola... mormora, con la voce rotta di chi non ride più.
Io gli accarezzo piano i capelli, senza dire niente, e non sento più la stretta bagnata dell'acqua di scarico.
Restiamo così per una notte, per chissà quanto- so che con lui potrei restare così per sempre.
Lo so benissimo, che non si riferisce a me.


Thursday 29 November 2012

Bambolina voodoo

...è che ora lei... è la mia piccola... bambolina voodoo...
Quello che viene fatto a lei... si rispecchia inevitabilmente... su di me.

Lei è immobile sul tavolo operatorio, i polsi e le caviglie incatenati con delle manette.
Viso pallido per la bradicardia, la bocca pesantemente truccata col rossetto. Sbaffi bordeaux le si estendono dagli angoli della bocca fino a metà guancia, sia a destra, che a sinistra.
Nuda, a parte il bendaggio che le copre il seno e la vita. Fasce stropicciate si svolgono da ogni parte del suo corpo - alcune garze pendono verso il pavimento, altre sono già cadute.
I boccoli che prima avevano il colore della noce moscata ora sono bagnati, e color verde cupo.
La ragazza è così bianca che sembrerebbe morta.
Solo una cosa la distingue dai cadaveri, ed è quel sorriso che si allarga all'infinito - che sembra luccicare nel blu notte della sala.

La guardi orripilato, e non riesci a non gridare.
Cosa le hai fatto bastardo? Cosa...
Ma non c'è bisogno di fare tanto rumore.
Lei è felice, non lo riesci a vedere?

La solita risata, roca, abrasiva, spezzata.
Poi un secondo di pace.
Io? Oh, niente di che. Ho solo innescato la bomba... nella nostra... incantevole... fragile... pupa.

Lei si specchia nella vetrata sporca, e sospira felice.
Sarà la morfina, oppure per lei è solo un sogno.


Sunday 25 November 2012

Heartless party (no love party)

Quel cuore, avvolto nella carta insanguinata. Quella lettera. Un invito.
La luce al neon che viene e che va, volti che scompaiono in un battito di ciglia.
Lei continua a camminare, stringendo tra le mani la lettera scarlatta. Intorno la gente balla, appare e svanisce.
La musica continua, sempre la stessa. Le casse sparano vibrazioni che la attraversano. Tutto il suo corpo vibra. Tutti quei corpi sudati che si accalcano nel buio. Qualche flash rischiara l'oscurità, ma è solo un momento. Poi tutto ripiomba nel caos. Nessuno sembra notare gli altri, ognuno balla per sé.
Pillole bianche che piovono dal cielo. Apre la mano, e nel palmo gliene cade una, sulla pelle macchiata dal sangue. Sente l'odore del ferro, quando riapre il pugno, e guarda la pillola. Un largo sorriso che la sua stretta ha tinto di rosso. La musica s'interrompe. Il cuore ricomincia a batterle.
Sta scendendo negli inferi.
Una gatta in latex le piroetta davanti, poi un altro lampo, e scompare.
Le pillole ricominciano a grandinarle addosso. Sono come Smarties, di un unico e solo colore.
La chitarra riprende a suonare.
Il mondo è ipnotizzato.
Ora lei sente solo quei suoni, la musica e il tonfo assordante del proprio cuore.
Delle note di piano, ogni tanto. Ma che cazzo...
E poi di nuovo la chitarra.
Un suono così acido, distorto e vorticoso...
Il vestito inizia a farle caldo, troppo caldo. I brividi le danno una strana energia.
Vorrebbe strapparsi gli abiti di dosso, e farlo.
Stringe la lettera lorda di sangue, e anche quella sola stretta le dà piacere.
Il cuore è ancora a casa, a marcire.
Si morde il labbro, e continua a cercare.
Una scala. Di metallo, a chiocciola, a precipizio da quel piano verso un abisso.
Ragazzi che scopano tra loro, tutti attorno.
Lei scende.
Si sente cadere, è come cadere, si afferra alla ringhiera e continua a scivolare.
La musica vive per lei che non ha più voglia di pensare.
Nessuno la ferma.
Nessuno la vuole toccare.
L'ultimo gradino - dopo non potrà più risalire.
Alza gli occhi verso il piano che ha appena attraversato. Oltre quel pavimento di vetro, vede tutti quegli sconosciuti baciarsi, strusciarsi, bagnarsi e ballare.
Lassù, tutta quella carne calda, quel fetore di sudore.
Laggiù, invece, non c'è niente. Solo il buio della notte, il freddo.
Quella canzone sembra non finire mai.
Un attimo e il cuore sospende il suo battito.
I suoi piedi toccano il suolo - è fuori, lontana dalla festa.
Qualche pasticca cade sui gradini alle sue spalle, tintinnano sul metallo fresco.
Una caramella verde acido le rotola vicino, fermandolesi davanti.
Quel sorriso, sul verde risplende. 
Il suo cuore le scoppia.
Respira a fondo, e l'aria ghiacciata e pungente le trapassa i polmoni come una nuvola di spilli.
Stringe le cosce, per un secondo senza fiato.
Piacere.
Quella ricerca la sta riempiendo fino all'orlo di... piacere.
Ancora un passo, e se non troverà ciò che cerca... esploderà.
Si schiaccia la lettera spiegazzata e sporca sul seno, e i suoi occhi si chiudono.
Un battito.
Li riapre e vede di fronte a lei quel sorriso.
Un respiro - un sospiro, non geme ma le manca poco... Il sorriso è scomparso, restano solo i mattoni umidi delle pareti in cui la festa è imprigionata.
Cala il silenzio, là sopra di lei.
Altre note di piano, una malinconia delicata di pace... Sta per abbandonare ciò che cerca. E poi la chitarra riprende. Ora sente anche la batteria. Non può più aspettare.
Corre, corre fino a schiantarsi contro quel muro. Si getta la pillola che le ha mandato il cielo alle spalle, e con i pugni batte ovunque, colpisce tutti i mattoni, per cercare una porta. Il buio la avvolge ma lei non ha bisogno di vedere. Striscia lunghi i muri, un'ombra che si confonde in tutto quel nero... colpisce sempre più forte, finché non sbatte contro la porta, e la sua disperazione può calare. Un altro pugno, una spallata, e cade in quella tana dove non si sarebbe mai dovuta trovare.
E cade, cade, continua a cadere, cammina o scivola o finisce per inciampare... forse è un corridoio, forse un'altra scala... lei va avanti, il suo vestito si impiglia e si strappa... come una principessa tra i rami della foresta oscura. Qualcosa le graffia qualcosa, lei vede rosso, ma non si ferma... poi le gambe le cedono, ancora, e precipitando urta e apre l'ultima porta... atterra, in ginocchio, su un terreno di schegge e di polvere. Le luci si accendono, o è una lampadina sola... un fulmine, un tremito elettrico, e in quella scarica lei ritrova il suo amore.
Inginocchiata e sbucciata, col vestitino lacero che tremola nel respiro di una corrente fredda che non si può spiegare... tiene ancora salda la lettera, che non si può più macchiare.
Mi dispiace che ti sia stato fatto del male, dice il biglietto, che lei non riesce a lasciare.
Chissà che non ti possa curare.
E l'indirizzo di quell'inferno.
Ma lei è lì, al suo cospetto, a offrirgli ancora, in tributo, il suo cuore spezzato.
La luce torna ancora, solo per poterglielo mostrare.
Senza trucco.
Lui, solo.
Lei non lo può più lasciare.
Si rialza, barcolla verso di lui. Le gambe, le braccia, tutto le fa male.
Gli cade addosso. Un silenzio.
Non riesce a smettere di guardarlo. Non riesce a pensare.
Là dove un tempo c'era il suo cuore... ora si sente solo bruciare.
Lui le scosta i capelli dal viso, sposta le ciocche che le ricadono sul petto. Le allenta il corsetto. Solo un po'. Per guardare.
I buchi degli aghi le hanno lasciato il loro segno.
La firma di qualcuno che l'aveva voluta fermare.
Le sue dita. La sfiorano. Toccano piano quei segni, uno per uno, li contano.
Lei trema. Di più, vorrebbe... di più.
Le sue mani non hanno i guanti.
Lei si sente scoppiare.
Mi dispiace...
La sua voce la uccide.
Non basta, non fa che alimentare... il bisogno pauroso che ormai lei sente di lui.
Lo guarda, e basta. Non parla, ogni cosa che vorrebbe dirgli... le muore in gola. Come dovrebbe morire tutto il resto.
Gli stringe la mano che conta le sue cicatrici, con le dita incrostate del succo del cuore che lui le ha mandato.
Almeno ora... sussurra lui, la tensione che sprigiona la sua voce ora più lieve del solito.
Non si sente più la musica... ma lei si sente comunque ancora vibrare.
So... qual'è il punto... perfetto.
La sua mano ricambia la stretta.
Lei sente la propria anima implodere, e uscirle a fiotti dalle orecchie.
Lo guarda, e basta. Negli occhi.
Schiude le labbra, per dire qualcosa. Lo sguardo di lui si sposta sulla sua bocca, in sospeso.
Lassù, alla festa, la chitarra riattacca, ancora.
Lei si alza, solleva la testa.
Lui le stringe più forte la mano - le loro dita sono ancora intrecciate sul suo reggiseno scoperto.
Poi le loro labbra si scontrano, di colpo, e ricomincia il bacio di tanto... troppo tempo prima.
Eri... vergine, vero? le chiede.
Lei abbassa gli occhi, e annuisce. Scusa, non dovevo..
Già. A me... non piace, lo sai?
Lei annuisce ancora.
Un atto ridicolo... che fa impazzire gli esseri umani. osserva, alzando le spalle.
Però... con te... le sue dita scorrono scorrono sotto la sua gonna, sfiorando il bordo delle mutadine. Perversamente... mi piace, conclude, abbassandogliele, all'improvviso.
Lei alza di nuovo lo sguardo, sorridendo, con aria di sfida.
Forse perché... io non sono un essere umano.
Lui ghigna. No, non lo sei. e la bacia di nuovo.
Nel buio lei riesce a intravedere solo il suo viso, ma non le serve altro.
Non sa dove siano, non sa su cosa siano appoggiati...
Ma non ci pensa, mentre lui la alza e fa scambio con lei di posto, facendola sedere... al bordo di quel trono... Le alza le braccia sopra la testa, e poi le apre il corsetto, senza smettere di guardarla e sorridere... lei osserva la luce inquietante nei suoi occhi, nell'imprevedibile crudeltà del suo ghigno... e da quella luce si sente riscaldare, è un calore insopportabile, si sente squagliare... si lascia spogliare e resta nuda sotto di lui, lo lascia fare... gli lascerebbe fare qualsiasi cosa... Lui le abbassa gli slip e la continua a guardare... Lei sorride... ha il suo stesso... bagliore spietato... c'è qualcosa in lei... che lo...
Lei sussulta, quando si sente leccare. Il tocco ruvido e bagnato della sua lingua sul collo... la assaggia e la assapora come se stesse davvero per divorarla... Dovrebbe essere spaventata, però... Non muove le braccia da come lui gliele ha disposte, come se l'avesse ammanettata... Lascia che le sue mani le scendano tra le gambe, le aprano le cosce... Un altro brivido, e il bruciante calore... della felicità.
Lei non riesce a fermarsi, e afferra di scatto i braccioli che li circondano. Quel trono dovrbbe essere... una poltrona, forse.
La sua bocca... la... sua... bocca... riesce solo a pensare. 
Succede. Davvero. Di nuovo. è tutto ciò che le può risuonare nel cervello ora.
Dovrebbero parlare, tipo? E di cosa?
Tra loro qualsiasi cosa, o legame umano... non può esserci.
Nessuno dei due saprebbe dire come, eppure... in questo momento sono insieme, e altro non si potrebbe dire.
Sì... lo voglio...
Si sente impazzire, ma ormai che ci può fare?
Il suo cervello scoppia, il suo corpo anche...
Geme senza bloccarsi, e si lascia crollare.
Passa un tempo indefinito, scorre forse via l'intera notte... e quando la luce ritorna, li trova sotto i neon della sedia elettrica.
Buon san Valentino, piccola, le bisbiglia lui all'orecchio, appena hanno finito.
La lettera è ai piedi della sedia, accartocciata. Ci fiocca sopra la cenere di una sigaretta.
A lei scappa una risata, esausta.
Pesce d'aprile anche a te, J.


Friday 23 November 2012

This one goes out to the one I love - fire

Rachel si china, e immerge la mano nella vasca.
Mmm, ora è perfetta. Prova!
Lui la guarda, le sorride, e sedendosi accanto a lei fa scorrere un dito lungo la superficie dell'acqua. Poi, uno sulla morbida pelle di pesca di lei. Dio, è bellissima, pensa.
E lo è davvero. Quei grandi occhi verdi sottobosco, quel sorriso che farebbe sciogliere un iceberg... quel corpo. Oh, quel corpo! Dent la fissa con il cuore in gola, mentre s'immerge allegra nell'idromassaggio. Le sue gambe... il seno, ora svelato, adesso che ha messo via l'asciugamano, sprofondandosi nelle bolle d'acqua calda, che le pizzicano la pelle... La guarda estasiato godersi quell'estasi, e commosso ringrazia il cielo.
Quello, è amore. Davvero l'amore perfetto.

Berlin sfonda la porta, semplicemente cadendoci addosso.
Il tonfo rimbomba per le navate, per un po', e poi su quel luogo ombroso e sacro ripiompa la pace.
Si guarda attorno, turbata. Non si sarebbe mai immaginata tanta bellezza in un solo luogo. Soprattutto, non si sarebbe mai immaginata una chiesa, un'intera chiesa, in una villa privata.
Ma l'alcol l'ha resa estatica, e le pillole le hanno sciolto ogni baluardo di logica, quindi non si fa domande, e prosegue il suo viaggio, marciando come una sposa per delle nozze fantasma.
L'atmosfera gotica - questo era già più à la Wayne - le infondeva una calma profonda, una spiritualità che pensava in lei fosse ormai morta. Le risate isteriche che prima l'avevano scossa fino a farle dolere gli addominali, ora sono placate. Si sente vuota, ma è un vuoto bello, rispettoso.
Berlin si passa la mano tra i capelli, forse per la prima volta nella sua vita, e li sente così deliziosamente lisci... come se un velo impalpabile e stupendo le fosse stato calato addosso. Un'incoronazione, un mascheramento... per lei a questo punto, è tutto lo stesso.
Si scioglie una ciocca tra le dita, fermandosi poi a rimirare la propria mano. Così piccola, ben fatta forse, ma... sicuramente priva della linea dell'amore, pensa. Poi la sua attenzione cade sull'anulare. Lo sente, proprio lì, tra il palmo e la falange... il delizioso peso di un anello, quell'anello - il segno che qualcuno ti ha accettata e eletta per sempre. Poi guarda meglio, e - come già sapeva - la fede non c'è.
Berlin non ci si concentra, e avanza. Vaga per la chiesa, a piedi nudi sul marmo grigio, attenta a non calpestare eventuali tombe, con gli occhi che si riempiono dei colori fragili delle vetrate. Chissà su cosa si affacciano, quelle meravigliose finestre! Attraversa le navate, si perde in un rettilineo labirinto di panche, raccoglie una Bibbia e la libera dalle ragnatele del tempo... e poi, proprio quando inizia a desiderare di vivere lì per sempre, in un volteggio perde l'equilibrio, cade, e così finisce nel battistero.
Si sveglia appena in tempo, e mettendo le mani avanti riesce a non sbattere sul bordo.
Si rialza, stordita, e le sirene nella sua mente cantano. Cori angelici, le pare.
L'acqua. C'è l'acqua, in quella vasca consacrata.
Berlin si ripiega su se stessa, all'improvviso, attraversata da un vecchio dolore. Si sente così sporca, non riesce a dimenticare il passato. Ricorda le notti, soprattutto le notti, e i sospiri, e il sangue, e i baci che non avrebbe dovuto dare - la nausea la vince, di nuovo. Perché per lei un innocente se ne è andato.
Pensa a quel bambino, alla vita che lei ha stroncato.
Pensa all'uomo cui una volta ha sparato, e che ciononostante si è salvato.
Pensa, suo malgrado, a quanto vorrebbe fosse stato il contrario. Pensa al suo bambino nato.
Poi si sente uno schifo, e vorrebbe cancellarsi del tutto.
Dovrebbe lei, rinascere, per dare un taglio a quella catena di peccato che si trascina dietro, legata ai polsi che non ha mai reciso.
L'acqua aspetta, immobile. Le sta davanti. Il silenzio è totale.
Berlin si inchina, e poi sa cosa fare.

Il rasoio è pronto, appena lavato.
Non serve schiuma, stavolta. Basta l'acqua.
Il lavello è colmo fino all'orlo. Ci si può specchiare.
Chiude il rubinetto.
L'acciaio è freddo, ma a quell'ora fa bene, un po' di fresco.
Mezzanotte, in punto, appena scoccata. L'ora a metà tra un giorno, e quell'altro.
J fa un sospiro, uno sbadiglio - dategli tregua, sono giorni che non dorme! -, e poi piega il collo, da un lato, e dall'altro. Lo scrocchio gli dice che è giunto il momento.
Si accarezza il viso, la pelle liscia agli angoli della bocca. Sbarbato di fresco... la barba non gli crescerà più, teme. Sorride. Ma chissenefrega.
Lancia un'occhiata a quella faccia bianca che lo guarda, là sotto, nell'acqua.
Quella caduta... è una volta per tutte, amico. Un precipizio a senso unico, ecco cosa è stato.
Un orrendo odore gli solletica il naso. Non si preoccupa di cercarne la fonte, la conosce già. Sta imputridendo da qualche parte, qualche metro più in là, in quella stessa cucina.
Scrolla le spalle, prende un'unica boccata d'aria, ed espirando tutto si taglia.

Oh, Harvey. Ti amo tanto...
Lui la stringe con forza, senza riuscire a lasciarla andare. Ogni volta che lei glielo dice... è come volare, dritti fino al Paradiso.
La bacia, quasi piangendo. Ma che diavolo gli ha fatto, questa donna perfetta?
Anch'io, piccola. Non riesce a smettere di guardarla. Perfetta, è davvero perfetta. Anch'io ti amo.
Si baciano ancora, a lungo, senza fretta. Un bacio romantico, una dolce pressione sulle labbra.
Intanto il desiderio sale.
Dent la sente nuda contro di lui, sente i suoi seni perfetti accarezzargli la pelle, i capezzoli turgidi, le sue gambe che si stringono alle sue... Lei seduta, con le braccia abbandonate oltre la testa, a stringere il bordo della vasca, sempre più forte... lui sopra di lei, che la tiene stretta cingendole la vita con le braccia, sfiorandole la schiena e le spalle in un tocco febbrile... E come lei gli parla... Quella voce, quel tono, la passione che gli infonde... Un'occhiata al suo pancino perfetto, e poi... non riesce più a trattenersi.
Da morire, le sussurra, affondando dentro di lei, col cuore che scoppia ad ogni suo gemito, unendosi a lei, e desiderando con tutto se stesso di non lasciarla più.

Berlin affonda nell'acqua gelata. S'inginocchia, e poi scivola, in avanti, fino a distendersi tutta.
Perdonami, Padre, perché ho peccato, supplica, col pensiero, mentre le sue lacrime si confondono nell'acqua santa.
Perché ho orribilmente, dannatamente peccato.
Una mano le afferra il polso, e la strattona, tirandola fuori.
Lei ritrova l'aria, e aprendo gli occhi si sente annegare.

Zac zac, e presto è fatto! esclama, e si specchia soddisfatto nell'acqua che arrossisce dello splendore che si appena conquistato.
La pelle gli tira, le guance gli fanno male, ma è un bruciore che può tranquillamente passare.
Ciò che non se ne andrà, invece... è la sua felicità.
, si dice fiero, guardando il sorriso che gli gocciola ora allegro in faccia. D'ora in poi... non avrò più alcun dolore. 


Wednesday 21 November 2012

Amour fou

Harley la guarda dalla finestra.
La vede allontanarsi, mogia mogia, con la coda fra le gambe.
Che ridere.
Che vergogna, per il glorioso gentil sesso!
Quella ragazzina... non ha neanche cercato di combattere per il suo amore.
Harley fa un saltello, fuori di sé dalla soddisfazione.
Il suo puddin' è solo suo (anche se lui fa finta di non saperlo).
Non c'è spazio per i triangoli, nel loro folle amore infinito.
E ora che il suo trionfo è completo - anche se, peccato!, la ragazza non è stata abbastanza avvelenata... ma di sicuro ora sta peggio di quanto lei avesse mai progettato, col suo piccolo cuoricino spezzato dietro a quelle tettine minuscole... ma come si fa a pensare di poter piacere a un uomo del genere, quando si è messe così male! ...di sicuro ora sta scappando a casa a affogarsi in un barattolo di gelato... sembra proprio Bridget Jones! Bé, tette a parte. Ah, così così impara a sopravvivere quando gioca con Harley Quinn! -, Harley si concede un po' di delirio di magnificenza. Poi si toglierà quel corsetto soffocante, e farà un po' di beau spectacle burlesque per il suo uomo...
Adesso arrossisce, perché anche se ormai lo conosce da tanto, non ha mai smesso di desiderarlo, dal primo giorno in cui l'ha visto, dietro quel gelido, troppo spesso vetro, ad Arkham... ah! Chissà se anche lui se lo ricorda così intensamente, il loro primo incontro.
Sarà stato anche per lui... amore a prima vista?
Cuoricini e petali di ciliegio svolazzano tutt'intorno alla nostra eroina, quando, più che mai decisa, si slaccia con calma cerimoniosa il corsetto, pronta a voltarsi verso il suo amato in tutto il suo nudo splendore.
La strega cattiva è stata vinta, non è ora di festeggiare?
Scommetto che ora è strisciata in un taxi, senza avere i soldi per pagare, ma è così intenta a piangere da non averci pensato... pensa divertita, godendosi tutta la sua cattiveria. In fondo ha imparato dal migliore la sottile arte del prostrare il prossimo, giusto? E poi a casa si getterà in bagno, con una bottiglia piena, riempirà la vasca, si scolerà il vino da sola... e si masturberà nell'acqua calda pensando... Harley ride, ebbra della sua vendetta. ...pensando a ciò che io e lui... faremo per davvero!
Il solo pensiero di ciò che l'aspetta le fa girare la testa. Interrompe la svestizione, per riprendere un po' di fiato.
Povera ragazzina, ha un faccino carino, però, non credi? dice intanto, falsa misericordiosa, al suo amore, che l'aspetta e tace. Starà ammirando la scena, fingendo di non guardare, si dice lei, gongolando emozionata.
Non pensi... che starebbe bene, se glielo decorassi... a tua immagine e somiglianza? butta lì, come suggerimento e provocazione, non stando più nella pelle al pensiero di vedere la sua rivale elegantemente... sfregiata.
Mmh, risponde lui, pensieroso. Naaa, lei... è già deturpata abbastanza... dentro... non ha bisogno... di me, per quello!
La risposta di lui le dà la gioia finale. Lui trova quell'altra brutta!
Tic! L'ultimo gancetto è aperto.
Che inizi lo spettacolo.

Ta-da-da-daaan!
Harley si volta, spiegando le braccia, a rivelare al meglio la sua lingerie di pizzo nero e borgogna.
Lui non commenta - l'ho lasciato senza fiato, pensa lei. Poi apre gli occhi.
Et voilà!
Lui è a un passo da lei, e la guarda leccandosi i baffi.
Ma prima che Harley possa abbandonarsi alla gloria - Dolcezza, quel completino! esclama lui, deliziato.
Ti dona... da morire... Il reggiseno, poi... sembra che ti sia... cucito addosso!
E con un ferro da cucito in una mano, e un uncinetto nell'altra, le salta addosso - ma non per ciò che lei pensava.

Laugh to pieces

Quindi è vero... che l'amore non esiste? chiese lei, col viso storpiato dalla speranza.
Lui scosse la testa, sorridendo pietosamente, come se lei gli avesse chiesto per l'ennesima volta un'ovvietà.
La luna era quasi giunta al bordo della nuvola... stava per riapparire.
Mia cara... ma certo che l'amore... NON esiste! Come potrebbe essermi possibile, in un mondo... in cui l'amore esistesse... fare... tutto questo?!
La luna si liberò dal velo, lo squarciò all'improvviso, illuminando tutta la radura di bianco.
Berlin perse il respiro, rimase a fiato mozzo.
Davanti a loro, sotto di loro, intorno a loro, c'erano solo bambini. Morti. Sfregiati come J si era sfregiato una volta.
Alcuni di loro avevano ancora il cordone ombelicale, altri erano riversi in piccole pozze verdastre, di rigurgito. Erano nudi, eccetto qualcuno che aveva ancora il polso il cartellino dell'ospedale.
Berlin cadde in ginocchio, la pancia attraversata da una fitta che non riusciva a fermare. Come se il suo utero stesse per scoppiare.
No!
Tutta la radura era ricoperta di neonati e feti e ciuffi d'erba che spuntavano dalla neve in poltiglia.
Ovunque lei guardasse, si sentiva sempre più morire.
Rimase ammutolita dallo shock fino a quando il dolore non fu troppo, e la fece strillare.
Il suo grido non echeggiò in quella discarica di vita, perché le rimase, strozzato, a metà gola.
Non aveva bisogno di abbassare gli occhi per saperlo. Lo sentiva dal male, e lo sentiva dall'odore - il suo corpo stava perdendo sangue.
Afferrò con violenza il polso di J, che stava contemplando rapito quello spettacolo, e lo strattonò, accecata dal dolore che le stava bucando la pancia.
Ti prego... riuscì solo a rantolare. Dobbiamo...
Un altro grido le morì in bocca, soffocato dai denti che affondavano nel labbro per trattenere quel male.
J si chinò su di lei, per essere alla sua altezza, e le prese con dolcezza il viso tra le mani.
Per la prima volta Berlin riusciva a sentire il suo fetore di morte.
Sssh... le soffiò piano in faccia. Sssh... no... non dobbiamo... perché tu e questo bambino... siete troppo belli... troppo perfetti e puliti... per questo mondo cariato!
Parlò sorridendo, con fitte lacrime che gli sporcavano gli occhi. E intanto le teneva la mano nella sua.
Allora lei capì.
Per loro due non c'era speranza.
Si piegò su se stessa, stringendosi il ventre con le mani, cercando disperatamente di salvare quel bambino... di trattenerlo con lei, di salvarlo dal finire in quella atroce radura.
Sapeva che era inutile. Non sapeva spiegarsi come.
Urlò con tutta la forza che aveva, come una belva ferita che non può che essere finita dai cacciatori.
Urlò e pianse fino a sentirsi mancare, cercando di alzarsi, ricadendo ogni volta, sporcandosi le gambe di fango, neve e suo sangue.

Poi la luce dei fari li investì, qualcuno colpì J alle spalle. Lui cadde, lei fu afferrata e sollevata, piano.
Continuò a tenersi la pancia, per proteggerla, mentre sentiva che tutta la vita che aveva stava gocciolando fuori da lei, con quel sangue. Pianse fino a quando non vide Due facce, che la teneva in braccio come una bambina sperduta.
Fece per parlare. Ma noi... Tu, perché... riuscì a dire, poi smise di tentare, perché non aveva senso. Cosa lo aveva? Dentro di lei... moriva...
Si aggrappò alla giacca di Dent, singhiozzando. In qualsiasi momento fossero arrivati, sarebbe stato comunque... troppo tardi.
Lo so... ma una metà... è tua, no? le disse dolcemente lui. Poi la fece stendere sul sedile... di una qualche macchina, forse, Berlin ormai non aveva più voglia di capire. Erano sedili in pelle, però, questo le era chiaro.
Berlin sentì un mugolio di dolore di J, a qualche metro da loro. Ma non riuscì a guardare.
Restò con gli occhi che le bruciavano, rannicchiata su un fianco con le mani salde sopra l'ombelico, a tapparlo perché nulla potesse volarsene via, fino a quando non svenne, o si addormentò, senza provare più niente.

Quando si svegliò, avrebbe scommesso di essere nella solita clinica, nella solita stanza, nel solito letto cui ormai avevano dato il suo nome.
Ma poi sbatté meglio le palpebre, e vide che non era dove pensava.
Una bella camera in stile impero, con ampie vetrate e tende attraversate dalla calda luce del giorno, oltre a cui si intravedeva una terrazza, e più in là ancora il ricco verde di un giardino sterminato.
Era un posto così bello che si sentì quasi in dovere di essere felice.
Una sveglia alla vecchia maniera segnava le tre del pomeriggio.
Aveva dormito per oltre...
Tre giorni, disse Dent, entrando affiancato dal suo vecchio amico in borghese.
Lei si tirò su, facendo leva su un braccio, ma il suo amico le fece cenno di restare giù, per riposare.
Li guardò sorridendo - era un sorriso vuoto, da morfina, ma i due non si aspettavano di meglio, era chiaro.
Nessuno dei due le chiese come stava.
Era chiaro.
A un certo punto l'amico se ne andò, per chiamare un medico, o portarle qualcosa da mangiare...
Lei rimase sola con Dent, il cui viso ormai riportava solo qualche leggero cenno dell'incendio cui era scampato. Aveva ripreso su tutta la faccia la sua rude bellezza, molto maschia, da superuomo. Miracoli della medicina moderna. Buon per Rachel, pensò lei, e la cosa la fece scoppiare a ridere.
Dent la guardò sorpreso, vagamente sollevato, un po' a disagio.
Nessuno aveva idea di come trattare con una ragazza disturbata che aveva appena perso il figlio concepito nel braccio della morte con il Clown Sovrano del Crimine.
Ciao, sexy, lo salutò allora lei, inclinando la testa di lato per studiarlo meglio, ammiccante.
Tea? disse lui, stupefatto.
Lei annuì, sorridendo come se non avesse avuto più nulla da perdere.
Ops. In effetti era così.
Che c'è, non ti aspettavi di vedermi? chiese, mettendo su un broncio da finta offesa.
Lui la guardò ancora più perplesso.
E Berlin?
Curiosità prevedibile.
Lei non rispose. Si limitò a alzare gli occhi oltre le spalle di Dent, per ammirare i gigli bianchi che qualcuno doveva averle portato, resi quasi eterei dalla luce chiara che galleggiava nella stanza.

Tuesday 20 November 2012

Smiling down

Appena ti ho vista... sai... cos'ho pensato? Tu... non sorridi mai.
Frustrante... nauseantemente dolce... povera piccola... bella bambina... L'unica a cui... non possa
Anche quando gli angoli della tua bocca si sollevano, quando le tue... labbra... si distorgono in un sorriso, tu... sei sempre triste! Anche quando ridi, anche quando fai una battuta, tu... tu non ridi mai, davvero! E ciò nonostante, io... non riesco... io con te... non sono... me... quello che voglio essere! Quello che ho deciso di essere, la maschera... che ho indossato un giorno disgraziato, e che poi... non ho più tolto... con te... va sempre... via... scivola via... e io... lo odio! Tu rovini la mia farsa, tu mandi all'aria il mio spettacolo... e io... non riesco mai... a farti ridere... come voglio io! Neppure il gas... non riesco a usarlo... neppure il gas riesce a stamparti in faccia l'espressione di leggiadra gioia... che tutti dovrebbero avere! Tu resti zitta, in disparte, non parli mai, e ogni tanto tu... piangi... sì, si vede sempre che piangi... che hai appena pianto... che stai... piangendo dentro... Dannazione, ragazza! Non ti uccido, non ti torturo, non ti diverto, non ti... affascino... non so che effetto ho, però... sembra che, tanto per cambiare... io ti faccia piangere! E il tuo pianto... non mi fa... divertire... non piangi come piace a me, con gli occhi da bambola giapponese spalancati, incrostati di lacrime e terrore... tu... sei sempre pallida... come se volessi sparire... perché?! perché te ne vuoi svanire via, nonostante... tu sei... il mio antidoto, dannazione, il mio fallimento più grande! Perché con te... non riesco a essere... ciò che voglio essere. Su di te non riesco a escogitare alcun... male. Sono solo dolcetti, per te, dannazione! Perché non posso farti uno scherzetto? Perché non posso intagliarti la zucca? Ho staccato la testa... a ragazze più belle... ho cucito il sorriso... a persone più interessanti... Ma tu... Ma tu... Riesci da sempre a disinnescarmi... Perché non ti ho... dato il drink della piccola morte? Perché nei tuoi occhi c'è sempre un velo... di lacrime... tu non dici nulla, ma si sente il tuo amore... a distanza... come il fetore di un esercito di morti... è così... fastidioso... questo insano calore... non ha senso, non ha... motivo... di continuare a bruciare... perché non si spegne? Non lo alimenta nessuno! Tutti cercano di spegnerlo... ti calpestano apposta! ...è per questo... che sei... così seria? E anche se sai che per questo dovresti essere condannata a morte... tu... continui... a essere triste... vicino... a me? Il sangue... non lava via... il tuo... amore... la morte... il delitto... non riescono proprio... a spegnere quell'osceno calore? Disgustoso... dannoso... inutile... accecante... sentimento... buono... Puah! Non vedi che ti sta piagando dentro? Non vedi che sarà quello che ti ucciderà?! Perché non lasci... perché non mi lasci lasciarmi... porre fine... alla tua sofferenza? 
...Ma che cazzo... ti hanno fatto... chi ti ha fatto cosa... per poterti rendere così... tragica?
Dimmelo!
Perché?
Che cosa dovrei farti io... per cancellare la tua faccia... e metterti addosso il dolore che vorrei io?

Sono incinta.

Lui tace.
Nella mia pancia, tic toc, tic toc, il tempo passa...
Taglierà lui il filo blu?
Un attimo, e lui mi travolge. Schiaccia il viso sul mio ventre. Lo divorerà?
Appoggia le mani sulla mia pancia, e resta colla faccia contro di me.
Lo sento tremare - è un rumore strano, sembra il pianto stonato di un gatto...
Poi quel verso si fa più forte, e capisco.
Ride.
Una risata squilibrata che non sembra si fermerà.

Ah...ah...ah! Tesoro... questo... è il più grande scherzo... che si potesse fare!

E io sorrido, perché in fondo è vero.
Sorrido, perché non sono ancora morta.


Colpito, e affondato! e rido, come se fosse uno scherzo, per davvero.

Monday 19 November 2012

Pediophobia

Un attimo sono lì, con te - l'attimo dopo c'è lei, e io devo sparire.
Lei appare sulla soglia come un angelo oltre un cancello di fiamme - e le fiamme ci sono state, e si vede, l'hanno divorata come hanno fatto con te... e l'hanno risputata, rendendola ancora più bella.
Lei appare come un miracolo, io ero solo un miraggio... Appena la vedi io per te non ci sono mai stata.
La tua metà bruciata - la sua e la tua sono speculari, potreste fondervi e tornare un liscio androgino dalla pelle perfetta...
Ormai sono tra voi, ma nessuno mi vede.

Rachel!

Come una sola esclamazione riesce a ribaltare il mondo.
Una scossa di terremoto rimette tutto al suo posto.
Lei è viva, questo non ha senso, ma è viva. Tu sei vivo, questo non ha senso, ma sei vivo.
Io sono viva, ma questo non importa, e voi potrete vivere insieme, di nuovo.

Conosco qualcuno che sarà contento quanto me di questa riconciliazione contronatura, penso amaramente, ma sapere che qualcun altro soffrirà stranamente non mi aiuta.

Rachel, ma come...
Ma non t'importa, né lei ha fretta di spiegartelo - lei torna da te, ti si butta addosso (nei limiti che le ustioni concedono a entrambi), e la brutta vecchia realtà senza cuore attorno a voi sparisce.
Siete su una nuvola del Paradiso, il problema è che non siete morti.

Tu non sei Rachel! urla Tea, ma Berlin la soffoca.
Come può essere scampata a quell'esplosione?
Tutti, tutti pensavano che fosse morta.
Dev'essere un'altra, una gemella malvagia, o...
Come può essere così bella, se bruciata?
Dent la guarda folgorato.
L'universo si è fermato, perché dall'Ade potesse ritornare una dea.
L'amore asciuga le piaghe.

Berlin è shockata, Tea meglio non parlarne.
Berlin rimane con gli occhi sbarrati, vivisezionata dai sensi di colpa - cerca di parlare a Rachel, ma lei ora è un angelo, è di un mondo superiore. Lei si volta verso Berlin, e in uno scatto la abbraccia - la ragazza si sente come stretta tutta in una tagliola. Le braccia di Rachel le circondano le spalle, le si getta al collo - Berlin si sente decapitare.
Grazie, dice la morbida, dolcissima, soffice voce di Rachel.
Berlin la guarda, con terrore - ha fatto sesso col suo amore, e poi gli ha sparato, per cosa dovrebbe essere ringraziata?
L'hai salvato.
Berlin rimane boccheggiante, come un pesce in una pozza di fango senz'acqua. Continua a non capire.
Ma io ho... gli ho sparato, e prima... sputa fuori, non ne può più.
Rachel la guarda col suo sorriso da gatto. I suoi occhi verdi risplendono di gioia, è... radiosa, e quella gioia accende anche i profondi segni coperti dalle bende.
Lo so. Berlin, va bene. Va tutto bene. Grazie a te Harvey è... tornato.
Adesso è lui ad essere invisibile - Berlin non osa guardarlo, e per fortuna non riesce a sentire la sua presenza in alcun modo. Ha troppa paura della sua reazione...
Ma se potesse vederlo, vedrebbe uno spirito nuovo, un'anima beata, un salvato.
Forse è meglio così, considerando Tea. Che muore ancora una volta, mentre Berlin vorrebbe svanire.
Non dico niente. Né Berlin né Tea riescono a reagire.

Rachel è tornata, è al suo fianco, è perfetta - una bambola, più delicata e più forte di prima.
Dent ne avrà cura, e lei lo curerà - adesso le crepe con cui quello scoppio aveva frantumato la loro felicità di cristallo si sono dissolte, e la loro perfezione è più angosciante di prima.
Li vedo insieme, sembrano quasi finti - i loro occhi, come quelli dei fantocci, si muovono insieme, sembrano così vuoti... Il loro amore, tanto fragile prima, che ora non potrà più essere distrutto... Lo vedo muoversi ed espandersi, e vorrei fosse inanimato. Sembrano così pericolosi, tanto sono felici.

Cado dal mio piedistallo, e gli occhi mi rotolano via - e vedono così dei nuovi sogni di morte. La mia pelle è delicata - basta toccarla, e sull'anima compare un livido blu.
Mi basta una parola, e mi lascio incrinare.

Le sorrido, tremando, borbotto un grazie commosso, e rea confessa e perdonata me ne vado. Non so neanche come, ma mi ritrovo lontano. Nella mia stanza, forse, o in un bagno. Mi chino e vomito, svuotandomi del cuore.

Sunday 18 November 2012

Two sides in a mirror

Una notte senza stelle, un ospedale senza guardie, passi strascicati di una larva che ha perso l'anima.
L'ombra si trascina tra le ombre, nelle pantofole troppo larghe per lei che ha trovato ai piedi del suo letto, con la vestaglia bianca che brilla sotto i neon, abbottonata a caso, sulle bende che la avviluppano tutta per soffocare i suoi letali impulsi.
Da quando è successo... le pulsioni sembrano essersi spente.
Né Eros, né Thanatos la reclamano, dopo il gran finale che ha invano meditato - c'era quasi, poi però... il sipario è rimasto alzato.
Meglio così, dovrebbe pensare. Ma chi siamo noi per dirlo?
Dentro di lei non si agita più niente. Encefalogramma piatto di due spiriti in un corpo - il cui encefalo invece pare in forma, anche se piuttosto pigro.
E ora sta vagando, strisciando per l'ospedale, nei reparti più lontani da quello in cui è chiusa lei.
Ci si trova bene, però - quando mostri bizzarri non vi fanno irruzione.
Dovrebbe sorprendersi che nessuno l'abbia fermata?
Dovrebbe meravigliarsi che in zona non ci sia sorveglianza?
Dovrebbe fare caso alle telecamere spente?
No, no, no, lei non se ne accorge, è troppo stanca per essere preoccupata.
E poi, ora è intangibile.
Ora è una disperata. Ha varcato la linea - o così pensano gli altri.
In realtà, non riuscirebbe mai a uccidersi, le manca la giusta chimica.
Voleva solamente riprendersi il proprio sonno.
Passa una porta, l'altra, passa davanti alle stanze di un lungo corridoio che sembra disabitato.
Si aspetta urli, fantasmi, scritte di sangue sui muri - ma questo è ciò che dovrebbe accadere nel suo reparto, o sbaglia?
L'unica luce accesa la cattura in un lampo.
Una camera, una sola, rivela presenza umana.
Lei si avvicina, piano, senza avere scampo.
Si ferma sulla porta, rimane senza fiato.
Io non ti avevo ucciso? chiede, ad alta voce. L'ha chiesto anche a se stessa, ma non è giunta risposta.
Metà faccia sorride, e l'altra è tutta fasciata.
Tu mi hai fatto rinascere, è lui che mi ha ucciso.
Lei si appoggia, dubbiosa, sullo stipite della porta.
Ti ho sparato dritto al cuore, non penso sia partorire.
Bello vederlo.
Bello vederlo vivo.
Bello pensare, per un attimo, di non averlo ucciso.
Dovrebbe essere turbata, probabilmente. Berlin lo sarebbe stata, Berlin sarebbe corsa da lui, gli avrebbe toccato il polso, avrebbe controllato che fosse vivo davvero. Berlin l'avrebbe guardato come un miraggio, e se ne sarebbe andata dritta nel suo vagabondaggio, non sarebbe mai entrata, non si sarebbe seduta sul suo letto a fare conversazione.
Ma quella non era Berlin.
Tea.
Lui la guarda, poi stringe la mano che lei gli porge.
Lui ti chiamava...
Berlin non c'è, in questo momento. Vuoi lasciarle un messaggio? lo interrompe lei, e tranquilla si siede sul letto.
Forse pensa che sia un'allucinazione, o un sogno lucido.
A Tea non importa... essere le dà una sensazione, e questo le basta.
Bello vederlo vivo.
Bello essere viva.
Harvey Dent.
Lui, anche se a metà, sorride ancora, e si mette a sedere, appoggiando la schiena sul cuscino.
Ancora nessuno a correre tra loro - da loro, cioè. Ancora nessun infermiere che venga a controllare.
Lei resta a fissare il vuoto, contenta.
Non sa perché, ma ora si sente bene. Quasi euforica.
Lui non sembra confuso, forse è solo divertito da quella visita.
O forse è una proiezione dello squilibrio mentale della ragazza, che ha smesso di sapere chi è molto molto tempo fa.
E tu... perché sei qui? Se posso... chiede, garbatamente.
Un incontro surreale tra quattro persone - tre e mezzo?
Tea alza le braccia, come in segno di resa, e le maniche della vestaglia, troppo larghe, le cadono giù, fino ai gomiti. Le sue braccia sono fasciate, interamente avvolte di bende bianche e garza.
Bende che la stringono anche sul petto, sul collo, sulla pancia e le gambe - ma Dent può intravederne solo pochi pezzi, negli spazi tra i bottoni.
Tu.
Una domanda, per farsi raccontare come è finito lì lui? Oppure una spiegazione, per dirgli che la causa del suo ricovero è lui.
Dent potrebbe chiederselo, ma sa che si tratta di entrambe.
Prima che possa rispondere, Tea lo guarda in faccia, e poggia la sua mano sul lato non fasciato.
La sua pelle è fresca, ma non gelata di morte. Liscia, a parte l'ombra di barba che gli sta crescendo da un po'.
Bello, vero? chiede lui, scherzando. Così gli fa pensare a quanto sia stato bruciato.
Tea continua a fissarlo, seria - i suoi occhi grigi si fanno due fessure. Come un gatto indagatore.
Sei vivo, veramente?
Lui ride. Perché, se non lo fossi...?
M'incazzerei, e andrei a ballare sulla tomba... di lei, dice in un sussurro.
Lui si irrigidisce, e con un colpo della mano destra spinge via la mano di lei dal proprio viso.
Il dolore che le si accende sotto la fasciatura, quella sensazione di fuoco vivo che rinasce, e di vertigine, e nausea... quella reazione le prova che allora è tutto vero.
Il suo viso si illumina.
Lui rimane interdetto.
Tea è bella come la luna che si specchia nei pozzi.
Tea gli ricorda qualcuno... ora la rabbia rinata lo fa sentire un altro. Quell'altro.
Dov'è Berlin?
All'altro il cuore batte, di nuovo, sempre più forte.
Tea l'ha innescato. Ha parlato di Rachel... per farlo risvegliare.
Berlin - è dentro quello stesso corpo.
Le prende la mano che le ha colpito, con la sinistra, adesso - due mani entrambe fasciate si stringono, con forza.
Io sì... e tu, sei davvero... reale?
Tea ride del gioco di parole, e per una volta senza orrore annuisce con la testa.
Ci puoi scommettere, mormora, e lo sfida. Testa o croce?
Adesso è lui che ride, l'altra metà fa male - ma lui sorride lo stesso, anche dove è sfregiato.
Ecco dov'era finita.
La ragazza gioca con la moneta, in attesa della sua risposta.
Tra le veneziane chiuse inizia a filtrare l'alba.
Lame di luce lambiscono lei e i suoi lunghi boccoli.
Dent resta in silenzio, a guardarla, aspettandosi di vederla svanire, come una fata morgana.
Tea è croce, per Berlin - la cui tormentata innocenza si sente ancora, nel calore della sua pelle, nel suo pallore di angelo ferito, nella luce dolorosa che appare adesso nei suoi occhi, ora che Tea è distratta.
C'è ancora Berlin, in Tea.
E nessuna delle due scompare, neppure quando il nuovo giorno sorge, anche lì, in quel limbo sospeso.




I'm not really jealous, don't I look like a clown?

Sabato sera, e alle undici sono già a casa.
Berlin si stende scoraggiata sul divano, e non riesce a fare altro.
Perché ha un divano, poi? Quello che le basta per vivere, in una casa, è il letto, e il frigo, il bagno, e un computer. Non servono specchi, mobili decorativi, asili per ospiti. Non servirebbe neanche la cucina, anzi, sarebbe meglio non ci fosse - vista la scottatura che medita di prendersi da giorni sul fornello.
A volte si vergogna, di fare certi pensieri. Poi si vergogna di non essere capace di provare semplicemente ciò che le capita di provare, senza sentirsi in colpa. E a quel punto si sente una patetica vigliacca, e desidera punirsi. Quindi, ricomincia a vergognarsi di fare certi pensieri. Una ragazza in loop.
Tornata a piedi, di corsa, zizagando tra le macchine senza neppure accorgersene, con gli insulti degli automobilisti, le brusche frenate e il grido della Banshee e del clackson come colonna sonora che non era riuscita proprio a sentire, Berlin è finalmente nel suo covo, dopo quattro ore di fuga.
Respira.
Quattro ore in trance, sotto shock, e solo ora Berlin respira e riesce ad accorgersene.
Le fa male qualcosa, tra il torace e il basso ventre.
Da qualche parte le campane suonano, annunciano la messa per le anime perse di quel mondo.
Fuori è buio e incasinato, mentre lì, nel suo appartamento... Berlin si sente al sicuro.
Chissà perché i suoi l'hanno chiamata Berlin - ah! è questo il punto. Non sono stati loro, a darle quel nome. Fu la cotta che lei si prese per la voce di Lou Reed quando aveva dodici anni. O fu perché dopo la maturità avrebbe voluto fare un giro in Germania? No. Si chiama Berlin perché Berlino era stata divisa in due - due parti opposte, nemiche, rivali, perennemente nostalgiche l'una dell'altra, la frattura tra le quali non poteva essere risolta da loro stesse. Si chiamava Berlin perché Berlino era stata scissa in due, e poi si era ricomposta, e aveva il suo equilibrio.
Fuori la gente si sta sbronzando e ingannando, mentre lì, dove non c'è che lei, non possono esserci turbamenti dell'ordine che non siano imputabili che a lei. E questo cosa vorrebbe dire?
Vuol dire che se resta lì dentro per sempre, non potrà rimanere ferita da altri.
Berlin avvicina i polsi l'uno all'altro, davanti a lei, e guarda le loro vene verdastre, in impressionante rilievo sotto la pelle mortalmente pallida. Le sente quasi pulsare, solo a guardarle - come se la stessero incitando.
Si lascia cadere le braccia in grembo, e si rannicchia sull'inopportuno divano.
Non ha mai ospitato nessuno, nel suo appartamento.
A parte un'amica, una volta - poi l'amica era sparita.
Non accade niente.
Berlin rimane sul divano, come una crisalide vuota, mentre la notte corre veloce per Gotham.

Era stata in quella strada, poco prima del tramonto - la strada in cui era svenuta dopo che una bella psichiatra psicolabile le aveva sparato una soluzione finale dritta nel cuore, poco prima che la luce aranciata e calda del sole che se ne andava si spargesse sulla neve ammucchiata su quei marciapiedi dove ormai la giustizia più non passava.
Era stata in quella strada, a cercare qualcosa che aveva perso - una carta che le era stata regalata tanto tempo prima, e a cui le teneva tanto. E l'aveva ritrovata.
Poco distante dal bar dove la bionda dottoressa le aveva teso una curiosa imboscata, la carta la stava aspettando. Era appoggiata sul coperchio uno di quegli enormi barattoli metallici in cui nelle fredde notti d'inverno qualcuno accendeva il fuoco - doveva essere un cestino di latta, ipotesi che per Berlin avrebbe potuto essere tranquillamente prima di senso, ferrata com'era nella vita reale.
Sembrava intatta, almeno da lontano. Qualche anima buona smarritasi da quelle parti doveva averla trovata, sepolta a metà nella neve, magari sporca e spiegazzata, ma ancora integra... e l'aveva messa lì, sul cestino, e non nel cestino, in modo che il legittimo proprietario potesse trovarla.
Berlin si era sentita come al solito lacerata di commozione, per la stupefacente gentilezza degli sconosciuti - un sentimento che riusciva a provare solo quando i suddetti sconosciuti non erano presenti, perché altrimenti sarebbe stata troppo congelata dall'ansia sociale per sentire qualche calore o trasporto per loro.
Berlin si era sentita felice, e sollevata, e leggera, ed era corsa da lei, dalla carta, con l'entusiasmo con cui una persona normale sarebbe corsa a riabbracciare una vecchia amica.
Poi, aveva visto la carta, la sua carta, quella che era venuta a cercare, strappata in mille pezzettini, bruciacchiati ai lati (doveva aver soggiornato per qualche tempo in un posacenere) e sporchi di grigio, ammucchiati ai piedi della carta che aveva visto da lontano, e che ora le pareva troneggiare sul coperchio del cestino come sullo scranno della Corte dei Miracoli.
Quella carta, quella perfettamente intatta, rideva di lei, e dei suoi sogni stracciati.
Quella carta era la matta.
L'aveva capito anche Berlin che non distingueva il poker dal bridge.
La carta smembrata era la Regina di Fiori che lui le aveva dato quando si erano conosciuti.
E prima che Berlin potesse scoppiare, disgregarsi e sparire, alla finestra di uno degli ultimi piani del palazzo abbandonato sopra di lei era apparso un sorriso agghiacciante e familiare, e dietro di lui, con gli occhi - Berlin riusciva a vederlo anche da lì, da dieci metri più in basso - fosforescenti dalla gioia, e ben spalancati per sbatterglielo meglio in faccia, la maschera della donna che le aveva bucato il cuore.

E un cuore pieno d'elio allora era scoppiato, proprio come un palloncino.

Saturday 17 November 2012

Mandorle amare (HCN)

La ragazza si tira uno schiaffo, e realizza che le piace.
Se ne dà un altro, più forte, sull'altra guancia.
Ha porto l'altra guancia al Male, è questo che si deve fare, no?
Si colpisce ancora, e ancora, finché le guance non le scottano. La pelle tira, la mascella duole. Tanto meglio, si deve continuare.
Il ciaf! sonoro degli schiaffi si libera nella stanza deserta. Ci sono solo lei, e la colpa che deve espiare.
Poi, una mano che mira alla guancia scivola, le dita arrivano a sfiorare il collo.
La ragazza allora tenta un esperimento, espande la zona dedicata ai colpi, ma sul collo l'effetto è strano, non la soddisfa.
Una sberla ancora, per provare, ma l'epiglottide non la convince.
Allora scende ancora.
Picchiarsi il petto a mani nude però... meglio usare qualcosa di più leggero e più deciso, qualcosa di esterno, di indipendente da lei.
La cinghia della cintura.
La ragazza chiude gli occhi, e lascia di nuovo la mano fare, immaginando che sia qualcun altro a redimerla.
Il primo colpo è troppo superficiale, lento, la sfiora appena, fiaccamente.
Il secondo è già più sicuro, ma le urta la pancia. Non era quello l'obiettivo, non in quel momento. Riproviamo.
Nella sua mente compare un giullare, steso davanti a lei, su un fianco, come la Maya desnuda di Goya.
Ah! il cuoio della cintura inizia a fare effetto. Il calore delle sue carezze si spande su di lei, diffondendosi dal punto d'impatto a tutto il ventre.
Lei solleva la mano, senza guardarla, persa in quell'immagine così ambigua e attraente. Il giullare è una giullare - il suo seno morbido e abbondante si delinea sempre meglio, a mano a mano che lei focalizza la scena. La cinghia scatta ancora, una lingua di serpe che le lambisce un capezzolo.
Finalmente.
Il bruciore frizza, lei se lo gode tutto - perché finalmente soffre.
Riprova, ed è più fortunata. La punta della cintura ora la tocca in tutta la sua larghezza, e lei si sente mancare.
La giullare è nuda, in tutta la sua sensualità ammiccante e lussuriosa, e le fa l'occhiolino, guardandola mentre si umilia.
Ah! ha perso all'ultimo il controllo della cinghia, che l'ha presa sul collo, poco sopra la clavicola.
Sembrerà un succhiotto, le suggerisce una voce, e furiosa lei riprende a flagellarsi.
Si frusta ora, a occhi aperti, sulle gambe, sulle cosce, per quanto riesce anche sui fianchi, e gli occhi le bruciano adesso senza che riesca a fermarli.
Davanti a lei la giullare, umidamente nuda davanti a lei, tranne per la maschera, da Arlecchino, rossa e nera, e un'ampia cicatrice tra i seni - in coincidenza del cuore... davanti a lei, la giullare ride, e addosso le scorre vogliosa una mano. Guantata. Dalle dita lunghe, ossute, e calzate di pelle viola.
La ragazza all'improvviso singhiozza, e lasciando cadere la cintura si lancia sul letto, dove le sue forbici di fiducia la aspettano, scintillanti nel loro gelido acciaio.
Nell'oscurità che accarezza e si struscia contro quell'eccitante Jolly, si delinea lentamente, e senza farsi accorgere nel suo accadere, naturalmente, Joker.
La ragazza apre le forbici, le spalanca, come quella Jolly farà con le proprie gambe, tra poco.
La mano del Joker scende su di lei con estenuante calma, fino a posarsi sulla x, sulla cicatrice...
La giullare ride in un fremito voluttuoso, e lui le sorride, come lo Stregatto.
La ragazza ha un'altro singulto, e le forbici calano, la penetrano, aprendole gli occhi, una buona volta.