Cercando nel labirinto degli specchi

Sunday, 23 March 2014

Un'interiorità impazzita

Vuole essere se stesso; ha cominciato con l'astrazione infinita dell'io e ora si è fatto così concreto che sarebbe impossibile diventare eterno in questo senso, eppure egli vuole disperatamente essere se stesso. Ah, che follia demoniaca, egli smania soprattutto per il pensiero che all'eternità potrebbe venire in mente di liberarlo dalla sua miseria.
Questa specie di disperazione si vede di rado nel mondo; tali forme si trovano veramente soltanto nei poeti, cioè nei veri poeti, i quali danno sempre alle loro creazioni l'idealità "demoniaca", se si intende questa parola nell'originale senso greco. Tuttavia una tale disperazione si incontra anche nella realtà. Qual è allora l'esteriorità corrispondente? Non ce n'è nessuna che "corrisponde", giacché un'esteriorità corrispondente, corrispondente alla taciturnità, è una contraddizione in se stessa; perché, se corrispondesse, rivelerebbe. Qui l'esteriorità è del tutto indifferente, qui dove la taciturnità o, come si potrebbe anche chiamare, un'interiorità impazzita, è ciò che prevalentemente bisogna prendere in considerazione. Le forme più basse della disperazione, in cui, in fondo, non c'era interiorità alcuna e in ogni caso non c'era da dirne nulla, queste forme più basse le dovevamo rappresentare descrivendole o parlando dell'aspetto di un tale individuo disperato. Ma quanto più spirituale si fa la disperazione, quanto più l'interiorità diventa un mondo a sé, chiuso in se stesso, tanto più è indifferente l'aspetto esteriore sotto il quale si nasconde la disperazione. E la disperazione stessa, più si fa spirituale, più bada, con accortezza demoniaca, di tenere chiusa la disperazione nell'interno, e più cerca, perciò, di neutralizzare l'esteriore, di renderlo più che può insignificante e privo di interesse. Come nelle favole il folletto sparisce attraverso una fessura che nessuno può vedere, così la disperazione, quanto più è spirituale, più si sforza di circondarsi di un aspetto esteriore sotto il quale normalmente non verrebbe in mente a nessuno di cercarla. Questo modo di nascondersi è proprio qualcosa di spirituale, è uno dei mezzi per assicurarsi, quasi dietro alla realtà, un recinto chiuso, un mondo esclusivamente per se stesso, un mondo in cui l'io disperato, senza posa e in tormenti da Tantalo, si dà da fare per voler essere se stesso.

S. Kierkegaard, La malattia mortale, Oscar saggi Mondadori, Milano 1991, pp. 83-84

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