Cercando nel labirinto degli specchi

Thursday, 10 January 2013

Fuck-off day


Se davvero devi continuare ad essere così crudele, allora è meglio che tu non venga. Meglio che tu rimanga da qualche parte, per conto tuo.
Sua madre, o suo padre, gli avevano detto così.
Poi l'avevano salutato con un frettoloso buffetto sulla guancia, ed erano usciti, per non tornare mai più - non da lui: non l'avrebbero mai più trovato.
Non come l'avevano conosciuto fino a quel momento.
Doc allora era ancora un bambino, e aveva capito di essere un mostro, disumano.

Quella sera, quando all'Opera davano il Der fliegende Holländer, Florian morì, e Doc apparve.
Quando la porta gli sbattè davanti, e una lingua di vento gelido gli leccò il viso, quel bambino crudele girò le chiavi in tutte le serrature, chiuse gli scuri, e andò a dormire.
Da quella sera non avrebbe più visto la luce.

Si barricò nell'ombra, e divenne sempre più bianco, fino a quando i dottori non smisero di tormentarlo.
Non uscì di casa, se non quando vi fu costretto; non parlò, se non quando qualcosa gli venne chiesto; non rise e non pianse, rimase freddo sulla soglia, a guardare di tanto in tanto dallo spioncino, quando non aveva alcunché da fare, il mondo reale che si affannava inutilmente a vorticare.
Divenne Doc al 100% quando per leggere ebbe bisogno degli occhiali, e fu da quel momento che si nascose davvero, celando i suoi occhi, perforanti, bellissimi, del colore dell'algido cielo - e altrettanto distanti e distaccati dagli altri - dietro a lenti altrettanto dure e taglienti, come diamanti.

Quando i suoi genitori lo lasciarono a casa ad aspettare, mentre loro andavano a teatro, in un bagno di folla a farsi ammirare, Doc capì che non c'era speranza, per nulla. Non soffrì: ne prese atto, e accolse quel fatto come un qualsiasi altro dato.
Sprangò la porta, chiuse le finestre e le tende, fece a pezzi uno specchio e si addormentò di sopra, in veranda. Quello specchio ormai distrutto non l'aveva mai veramente riflesso.

Mentre Doc inceneriva il compianto Florian, si poteva sentire il suo cuore creparsi e scricchiolare. Le bambole di porcellana lo guardavano mute dagli scaffali, come sempre belle e serenamente imperturbabili.

Solo quando sentì al telegiornale di una strana povera ragazza, che si era tagliata poco prima le vene nella farmacia di un supermercato, Doc decise di uscire. Prese solo i suoi soldi, e il cappotto, e in un tour degli ospedali trovò Munchies, addormentata con un po' di piastrine in meno nel Pronto Soccorso del Ghetto - così gli snob del suo palazzo chiamavano il quartiere del manicomio vecchio.
Munchies conobbe Doc quando riprese conoscenza, e Doc riprese vita quando conobbe Münchhausen - d'altronde non è cosa comune, incontrare una dama che si era salvata dall'annegare in una pozza tirandosi per i capelli.
La pozza, a quando dicono, era calda e rossastra.

Dal giorno in cui i suoi gli chiesero una tregua, Doc accettò di rinchiudersi, e lasciar loro un po' di pace. 
Gettò via le ortiche, i documenti falsi e le armi di cioccolato, e concesse alla vita degli altri del tempo senza di lui. Quel giorno in cui scomparve divenne l'eternità intera, e Doc non riuscì più a voler tornare fuori.
Non era il mondo in sé, lo splendido Creato - era chi lo inquinava, chi lo abitava, a turbarlo.
Doc non voleva avvicinarsi, né essere avvicinato, dall'animale sociale che aveva rifiutato.
Dal giorno di vacanza, alla vacanza perpetua.
Tutte le volte che gli accadde di uscire, Doc si stordì, sempre.

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